“Seas Of Static” è il titolo del quinto album dei Dead Horse One, un gruppo francese attivo da poco più di dieci anni. Dopo aver lavorato con Mark Gardener dei Ride (produttore del loro debutto, “Without Love We Perish”, pubblicato nel 2014) e aperto concerti per colleghi di peso come i Telescopes, la band di Valence prova a imporsi all’attenzione di un pubblico più vasto con un disco solido e maturo che guarda al versante più pesante e contaminato dello shoegaze.
I Dead Horse One, infatti, non vanno tanto per il sottile. La batteria picchia e le chitarre ruggiscono in buona parte di queste undici tracce, dove emergono in maniera chiara influenze grunge (“Raindrops”, “That Day”), doom/stoner (“Shadow”, “Here Comes The Lord” e la cover violentissima di “Kathleen” di Townes Van Zandt, interpretata dall’ospite Harlee Young) e persino punk (la fulminante ma strutturata “Regenerated”, che parte come una scheggia impazzita per poi ondeggiare malinconicamente tra space rock ultra-elettrico e dream pop acustico).
Sotto l’armatura del quintetto, tuttavia, pulsa il cuore “tenero” di chi sa come si creano atmosfere avvolgenti, dolci e sognanti. La scorza heavy dei Dead Horse One – che, come già suggerito, sono veri e propri maestri nel tirare su inscalfibili muri di suono – viene spesso grattata via da melodie eteree e fragili, quasi sussurrate dal cantante Olivier Debard.
Da questo scontro fra mondi apparentemente inconciliabili fra loro prende forma un sound screziato e stratificato, avvolto in un manto di cupa psichedelia, che oscilla fra la forza dello shoegaze più “robusto” e la delicatezza di quello più soave, come ben dimostrato da episodi acustici quali “Raindrops 2”, “Onset” e “We Were”. L’album è davvero troppo breve (nemmeno trenta minuti di durata) ma racchiude in sé la personalità, l’esperienza e tutte le varie qualità dei non conosciutissimi Dead Horse One, veterani del rock europeo ancora tutti da scoprire.