E fu così che dopo tanto vagare per lo più senza meta i Twin Atlantic ritornano a quello che sanno fare meglio, ovvero il fottuto rock epico con i chitarroni e i cori da stadio.
Messi in soffitta (grazie a Dio) i synth, messe in soffitta la velleità di essere una synth-pop band cattiva o di avere lampanti influenze anni ’80 (tutte cose che avevano caraterizzato gli ultimi atroci album), viene dimenticato anche quel taglio garage e sporco di “GLA” e così, come in una margherita a cui vengono tolti i petali, alla fine resta quello che, a suo tempo, ci fece innamorare di questa band, ovvero il rock, quello bruciante, rabbioso ma nello stesso tempo esaltante e ricco di epicità di album come “Free” e “Great Divide”. Non ho citato “Vivarium” perché i Twin Atlantic non sono certo tornati al sound di quel disco fatto di tanti cambi di tempo e di tanta carne al fuoco per generare variazioni potenti sul tema power-pop-rock, quello no, ma è bello ritornare a sentire le chitarre che graffiano forti in canzoni dirette, semplici e lineari se vogliamo, ma ricche comunque di passione e intensità genuina e sincera: la band si lancia a testa bassa in canzoni vibranti, in cui chitarra, basso e batteria ritornano ad essere preponderanti e prepotenti, se mi concedete il termine, mentre la voce di Sam è pronta a lanciarsi in ritornelli da gridare a voce alta.
Alla fine il succo del disco è proprio questo, tornare a fare quello che più ha soddisfatto i fan in passato ma, in realtà, anche quello che, qualitativamente parlando ha lasciato un segno importante.
Che poi i TA non siano più quelli di “Free” o dell’ancora più epico “Great Divide” è lampante. Non c’è più quel taglio ipermelodico così immediato che dominava i due album citati (“Fall” però sembra proprio riportarci indietro nel tempo alla grande), eppure, ripeto, sentire brani coi riffoni incazzati (“World Class Entertainment”) che si alternano a momenti più tranquili (“Sorry”) che spingono al coro da stadio quasi alla Coldplay o a mid-tempo carichi e vincenti che stazionano più in zona Feeder, è miele per le nostre orecchie desiderose di dimenticare al più presto le porcherie passate coi synth.
Mi raccomando adesso ragazzi, basta sperimentazioni: restate sul vostro campo da gioco migliore, perché qui si che siete all’altezza della situazione. La bella ballata acustica nel finale mi ha davvero fatto dire: “Eccoli, sono tornati, grazie ragazzi!“