Aspettando spasmodicamente la fantomatica prima recensione, la tensione, il volume alto e le liti sono all’ordine del giorno nel neonato “The Bear” – ormai bipartito in vecchia paninoteca (la fu “The original Beef Of Chicagoland”) e ristorante che aspira alla prima, agognata stella Michelin.

I piatti sono opere d’arte, ma l’armonia tra Carmy, Richie e Syd sembra essersi compromessa. Con lei sembrano essersi sopiti anche diversi punti forti della serie, che dopo due stagioni ottime (straordinaria la prima, bella ed efficacissima la seconda) sembra impantanarsi in un atteggiamento eccessivamente interlocutorio e nella ripetizione sfinente dei soliti ingredienti tecnici e narrativi.

Succede poco e niente in cucina e nelle vite dei personaggi (scelta voluta, non è che l’ispirazione si è persa per strada, ma sicuramente il grosso della trama ripartirà nella quarta stagione e lì, immagino e spero, ne vedremo delle belle), così i momenti migliori finiscono per essere quelli staccati dalla story-line principale: il dolente episodio flashback sul passato di Tina, quello del parto con una Jamie Lee Curtis sontuosa e la sperimentale prima puntata che angoscia al ritmo lento e ossessivo del post-rock di Trent Reznor e Atticus Ross.

Anche l’utilizzo della colonna sonora non originale in associazione agli scenari chicagoani appare questa volta un po’ forzato, sconfinando talvolta nell’effetto spot pubblicitario.
Tuttavia non mancano alcune scelte da urlo, come l’inglesissima “Laid” dei James che ti fa saltare dalla sedia mentre l’altrettanto inglese Olivia Colman scongela pizze Cameo durante la sua festa d’addio alla cucina.