Provando a citare una delle massime più incisive di Andy Warhol, potremmo iniziare questa recensione con una frase un po’ “telefonata”, ma che ha il suo perché: Il ritorno di David Gilmour non è un barattolo, non può essere etichettato. Sì, insomma, “Luck And Strange” – questo il titolo del nuovo capitolo discografico del Nostro – ha ricevuto elogi da tappeto rosso e stroncature preventive già settimane e settimane prima che il disco vedesse la luce. Fisiologico, quando si tratta di artisti in odor di leggenda. Un tantino tedioso negli anni Venti del Duemila.

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Sì. Perché quando ci si interfaccia con le opere dei cosiddetti mostri sacri dell’universo musicale, il rischio è quello di incappare in banalissime frasi già fatte e in fazioni ultra-integraliste che neanche i guelfi e i ghibellini. Va da sé, naturalmente, che la verità risieda nel mezzo e che il disco in questione, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti, rappresenti l’onesto come back di un quasi settantottenne. Ascoltando “Luck And Strange”, la prima cosa che salta all’orecchio è la cura maniacale per i suoni. Mai così fluidi negli ultimi vent’anni Gilmouriani.

Merito, soprattutto, dell’ottimo lavoro svolto in cabina di regia dal producer britannico Charlie Andrew (Alt-J, Bloc Party, Matt Corby), uno che in fatto di sette note può essere considerato una sorta di genietto. Altroché. La title-track, per esempio, è un bluesaccio psichedelico in cui il caro vecchio David prova a viversi la musica così come dovrebbe essere fatto da ogni artista che si rispetti: ovvero, fregandosene dei suoi aspetti più canonici e dando libero sfogo al proprio istinto.

Le atmosfere rarefatte di “A Single Spark”, invece, richiamano (lontanamente) ad alcuni episodi dei Pink Floyd più patinati. Per chi scrive, l’assolo che trascina il pezzo sul finale è uno dei momenti topici dell’album. E cosa dire di “Dark And Velvet Nights”, se non che rappresenta il vero e proprio highlight del disco? Esiste una categoria di artisti – molto ristretta, in verità – che certe cime dell’olimpo musicale le ha toccate davvero tutte. David Gilmour è indubbiamente uno di questi. Difficile, dunque, chiedergli di più rispetto ad un lavoro solista che, pur non essendo un album perfetto (a trovarne negli ultimi vent’anni del mainstream mondiale), è sicuramente un’opera che s’innalza oltre la mera sufficienza.

Detto questo, non ci è dato sapere se si tratta dell’ultimo atto in studio o se in futuro, il buon David, sfornerà ancora opere degne di questo nome. Quel che è certo, però, è che “Luck And Strange” è un buon modo per rimettersi in marcia lungo il sentiero delle sette note. Con buona pace dei barattoli e delle etichette.