Dopo aver raccolto consensi unanimi per il loro album “Where I’m Meant To Be” di due anni fa, essere riusciti nell’impresa di rendere mainstream un genere generalmente di nicchia come il jazz, cosa riuscita a pochi altri grandissimi nomi, e aver vinto come ciliegina sulla torta il Mercury Prize, il quintetto inglese si ripresenta con una nuova sfida rappresentata da un nuovo album.

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La formula di un jazz influenzata da diversi generi e con una sapore da grande metropoli multi etnica rischiava di essere una formula ormai assimilata anche dagli ascoltatori meno avvezzi ai sapori del jazz, un pericolo che poteva essere sventato dalla maestria dei cinque musicisti che compongono gli Ezra Collective ma che in fondo poteva non essere sufficiente se non accompagnata da nuove idee e dalla capacità di infilare una serie di pezzi convincenti.

Diciamo subito che la band vince con sorprendente facilità la sfida e il loro nuovo lavoro “Dance, No One’s Watching” riesce a brillare in un mese di uscite che già ci ha regalato una serie di ottimi e inaspettati lavori.

Gli Ezra Collective ripropongono il loro sound jazz condito da varie influenze e impreziosito da riusciti intermezzi pop, riuscendo a mettere in vetrina un nuovo luminoso diamante che affascina e acceca grazie anche ad una produzione di alto livello.

Il lavoro è un susseguirsi di brani nei quali, quasi fosse un concept album, si finisce per immaginarsi di ascoltarli in un locale con un Macallan on the rocks su una mano e un buon Antico Toscano sull’altra, mentre il dancefloor si riempie tra momenti funk, afrobeat, dub reggae, soul che si adagiano su un tappeto jazz nel quale una sezione ritmica strepitosa e le performance dei vari musicisti si esprimono con una costante e continua forza attrattiva.

Ecco quindi la band scaldare i motori nella intro mentre in sottofondo sentiamo il brusio degli avvenenti che riempiono il locale per poi passare a “The Herald” con tutti gli strumenti diventano una sezione ritmica unica nella quale si adagiano i fiati che si prendono la scena, seguita da “Palm Wine” dal sapore caraibico nel quale il protagonista è il virtuosismo del piano.

Il momento pop è affidato alla voce di Yazmin Lacey che colora con la sua voce soul “God Gave Me Feet For Dancing”, gran pezzo da classifica, seguita “Ajala” dai colori afro nel quale il basso e percussioni sono particolarmente coinvolgenti.

L’album è un caleidoscopio di colori, una pioggia di colori, in ogni brano si apprezzano le performance dei musicisti tra bassi protagonisti “N29″, fusioni reggae, soul e jazz come nella favolosa “No One’s Watching Me” brillantemente cantata da Olivia Dean, l’irresistibile marcia di “Hear My Cry”, la dolcezza del piano di “Everybody” in un brano veramente entusiasmante che fa venire in mente i Beirut e infine l’immancabile pezzo rap jazz con “Streets is Calling” (feat. M.anifest & Moonchild Sanelly) che completa una vero festival della musica.

“Dance, No One’s Watching” è talmente bello e coinvolgente da superare ogni aspettativa, regala un ascolto nel quale non solo si è capaci di apprezzare il virtuosismo dei musicisti ma soprattutto di riconoscere un talento compositivo che nella fusione dei generi trova il suo punto di forza.