A quattro anni dall’ultimo lavoro in studio (“Suddenly” del 2020), ritorna sulle scene discografiche il caro vecchio Daniel Victor Snaith, alias Caribou. “Honey”, il nuovo progetto elettronico del Nostro, rappresenta un campionario di suoni decisamente variegato e che ben reintroduce l’artista canadese sul proscenio pirotecnico della musica internazionale.
Provando a scandagliare gli orizzonti sonori dell’album in questione, “Volume” è uno di quei brani dal chiaro retrogusto vintage (contiene un sample della celeberrima “Pump Up The Volume”) ma con quel tocco di modernità che gli conferisce, se possibile, un’aura ancor più accattivante e luminosa. Per chi scrive, però, il (vero) pezzo pregiato del lotto è la traccia numero cinque: “Come Find Me”. Sì, perché si tratta di un brano maledettamente appiccicoso e che inizia attraverso un giro di basso che a definirlo spaziale si rischia di volare sin troppo basso.
La title-track, invece, è un ottimo esercizio di stile, nonché una sorta di compitino ben riuscito, ma piuttosto fine a sé stesso. Del resto, il fascino recondito di un musicista poliedrico come Caribou, risiede anche e soprattutto nelle sfumature più inconsuete (come quelle dell’indie appena accennato di “Campfire”). Va da sé, naturalmente, che non è tutto oro ciò che luccica. “Over Now”, per esempio, richiama un po’ ai Coldplay iper-patinati dell’ultimo periodo, mentre “Only You” appare più come un tentativo (alquanto grossolano, in verità) di allungare oltremodo la durata del disco, che come una sincera volontà di continuare a spingere il piede sull’acceleratore della sperimentazione.
In parole povere – e provando a tirare un po’ le somme – potremmo definire “Honey” come il nuovo, ottimo capitolo realizzato da Snaith, ma anche come un’opera che nulla toglie e nulla aggiunge all’oramai corposa discografia del producer nordamericano. Non un passo indietro, dunque, ma nemmeno un deciso scatto in avanti per il musicista nativo di Hamilton.
In definitiva, “Honey” è un progetto che abiura la pretenziosità super-glitterata (troppo) spesso manifestata nel campionato mondiale dell’elettronica mainstream e che va preso per quello che é: ossia, come il lavoro onesto di un artista che non ha più nulla da dimostrare. E a ‘sto giro va bene anche così.