Back to the roots. Il nuovo album di Jake Bugg rispolvera il sound di inizio carriera del cantautore di Clifton, periferia poco posh e molto working-class a sud di Nottingham, e restituisce al suo pubblico il gusto, il valore musicale ed espressivo a cui erano abituati. Il cantautore inglese ha festeggiato quest’anno i suoi 30 anni e dopo un periodo di scelte musicali diverse e sperimentazioni più pop che altro, Jake Bugg ha alzato il volume delle testate degli amplificatori ed ha raggiunto una maturità musicale più consapevole.

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“A modern day distraction”, sesto album all’attivo, targato RCA /Sony, ci spettina sin dall’inizio con “Zombieland” e da subito capiamo quale impronta prenderà l’intero disco. Riffs tenaci e ritornelli orecchiabili ed intuitivi già dal primo ascolto. Le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, vissute anche in prima persona, permeano le liriche del brano e la maturità raggiunta è apprezzabile per l’intero album. Seguono “All kinds of people” dal suono molto brit e “Breakout” con un rock & roll a tratti latino. “Never said goodbye” è una ballata emotiva che ricorda lo stile di “Simple pleasure” in “Shangri La” e di altri brani inseriti nei primi due album che hanno spalancato la carriera del giovane cantautore ormai più di dodici anni fa.

Dal folk di “I wrote the book”, passiamo al blues-rock di di “Waiting for the world” e “Instant satisfaction” che racchiude con semplici e dirette parole il mondo in cui vive un trentenne di oggi “and it feels so good / this instant satisfaction / a meaningless distraction / day after day / I’m so hooked On instant satisfaction / a modern day distraction from the pain / day after day”.

“Got You Let You Go” a me ricorda i La’s rivisitati nel perfetto stile gallagheriano e lascia presto spazio agli accordi gentili di “All that I Nedeed was you” e al ritmo coinvolgente e mod-revival di “Keep on Moving”. In questo movimento ondulatorio di suoni ed emozioni si ritorna ad una lenta ballata emotiva di “Beyond The Horizion”, per ritornare a suoni più vivaci di “Still Got Time” che chiude l’album, un po’ come l’aveva aperto, in pieno stile Jake Bugg “Don’t stop dreamin’ / I know we’ve still got time / Don’t stop dreaming / We’ll make it out alive”.

Negli ultimi anni il cantautore inglese ha sperimentato molto e a volte i risultati non sono stati del tutto eccellenti. “Ci sono state volte in cui sentivo di sbattere la testa contro un muro, ma è una cosa da fare ed un momento da attraversare e negli ultimi anni sono stato contento di esserci passato” ci informa in una lunga ed appassionata intervista rilasciata al Guardian o come ci ricorda su Headliner: “in quel momento ho provato a sperimentare e provare nuove cose. Qualche volta ha funzionato, altre no”.

Un lavoro di ricerca di suoni e di attenzione al dettaglio come anche Jake Bugg ha confermato nell’intervista rilasciata sempre su Headliner “tutto qui ha uno scopo, ogni melodia, ogni parte di chitarra. Abbiamo analizzato ogni cosa ed avere nell’album la mia live band ha apportato un grado di emotività anche per la registrazione“. Tutto conferma quanto questo album è l’erede dei primi due “sento quest’album come la naturale progressione dei miei primi due album” e non possiamo che dargli ragione.