Talento multiforme e genuino quello di Beatrice Antolini: produttrice, compositrice, musicista, direttrice d’orchestra ha lavorato con Angela Baraldi, A Toys Orchestra, Baustelle, Bugo, Ben Frost, Manuel Agnelli, Lydia Lunch, Vasco Rossi senza mai rinunciare a una carriera solista ormai lunga e consolidata che non le ha purtroppo ancora regalato l’attenzione che merita.
Le cose potrebbero cambiare con “Iperborea” il disco in cui l’anima sperimentale e quella melodica sembrano convivere senza sforzo apparente, pubblicato a ottobre con la particolarità di far uscire prima il formato fisico (sabato cinque) e successivamente l’album in digitale, il venticinque. Scelta controcorrente e coraggiosa che sa molto di ribellione nei confronti di un mondo musicale sempre più liquido e impalpabile.
Solida è invece l’ispirazione di Beatrice Antolini in nove brani dove per la prima volta canta in italiano mettendo ancor più cura del solito nella composizione dei testi, frutto di un’urgenza comunicativa forte, della necessità di osservare i cambiamenti della società senza perdere di vista la bellezza, cercandola e accettando di raggiungerla.
Arrangiamenti mai banali come l’orchestrazione de “Il timore” tra sintetizzatori e sinfonie (“che cos’è una carezza ce lo insegna il vento pietre cadute dal muro del momento satelliti spaziali la luce tra i fondali” frase da mandare a memoria) convivono con il sound distopico che fa da sfondo a “L’idea del Tutto” e “Generazione cosmico”, con la dolcezza di “Farsi raggiungere” ballata di grande effetto poetico come “L’arte dell’abbandono” poco dopo.
L’anima torna a farsi inquieta con “Trionfo e rovina” e “Pensiero laterale” distorte e incalzanti, abilmente bilanciate da una title track dal mood riflessivo, ipnotica passeggiata fra le strade di Kreuzberg con chitarra acustica e tastiere che s’incontrano. “Restare” è la ciliegina sulla torta, un’altra intensa ballata che unisce analogico e digitale, pianoforte e elettronica a chiudere un disco di alto livello.