Ormai le pellicole metacinematografiche con sfumature autobiografiche, ossia quei film con cui un autore arrivato a un certo punto della carriera riflette sul proprio cinema si sprecano. Mi vengono in mente Paul Thomas Anderson, Steven Spielberg, Pedro Almodovar e persino Nanni Moretti.
“The Trap” è a tutti gli effetti la meta-shyamalanata, con la quale i regista di origini indiane gioca tanto con gli schemi del suo cinema quanto con le aspettative che esso, sin dal fulminante esordio con “Il sesto senso”, produce nello spettatore – spesso interessato al film in egual misura (se non addirittura di più) che ai proverbiali plot twist, che cerca dunque di anticipare e scovare.
E quindi questo film, divertentissimo e riuscitissimo se non per qualche ingenuità e semplificazione (la polizia e i federali prima dispiegano praticamente tutte le proprie forze per la cattura del macellaio e poi lo lasciano da solo nel retro del blidato, dai!), vede i colpi di scena succedersi senza soluzione di continuità.
Quasi come in un gioco, nel quale lo spettatore può rispecchiarsi negli investigatori e nella cantante Lady Raven (il cui concerto viene utilizzato per tessere la trappola del titolo al serial killer) e il regista nel mefistofelico personaggio di Josh Hartnett, impegnandosi dunque a scappare da più tranelli che può, anche da quelli imposti dal suo stesso peculiarissimo cinema.