Credit: Ebru Yildiz

I Pains Of Being Pure At Heart stanno per tornare sia in studio, anche se “solo” con una compilation di B side e non con brani inediti, che dal vivo, con un ampio tour spagnolo nel quale riproporranno per intero il loro magnifico esordio omonimo. Quale miglior occasione per compilare una loro Top 10 del progetto guidato da Kip Berman? Come sempre, l’impresa è particolarmente ardua, anche perché, come dico sempre, ritengo che in queste classifiche ci debba essere sempre spazio per tutti i bei dischi del gruppo in questione, e siccome i quattro dei Pains sono tutti stupendi (a mio giudizio, ovviamente), risulta crudele dover scegliere due o al massimo tre brani per album. Ma così è, e le mie scelte hanno portato a questa lista. Prima di augurarvi buona lettura, non posso non menzionare la forza di questa band nell’aver stabilito ricordi importanti e che mi conservo con grandissimo piacere, tra le bellissime chiacchiere con lo stesso Kip, le trasferte anche lunghe che mi sono sobbarcato per vederli e, soprattutto, la compagnia di amici di cui ogni volta godevo durante i concerti. Penso che ai concerti dei Pains ci fosse la gente migliore possibile e il clima che si respirava era davvero unico. Per me resta indimenticabile l’intervista a Kip prima di un concerto all’Hana Bi alla quale un po’ di persone mi aveva chiesto di poter partecipare e ci siamo presentati in sette, con lui felicissimo di stare al centro del nostro cerchio e rispondere a chiunque. Tra quei sette c’era anche il mai dimenticato Guagno, a cui voglio dire: amico mio, mi manchi sempre di più e questa classifica è dedicata a te.

10 – When I Dance With You
2017, da “The Echo Of Pleasure”

Dopo la svolta pop del disco precedente, Kip e i suoi non rinunciano all’amore per le melodie e le tastiere, ma provano anche a evitare di proporre il suono totalmente pulito che tanto aveva spiazzato i fan. Ne esce una serie di canzoni figlie dell’esperienza e della maturità ma che, per fortuna, suonano ancora fresche e coinvolgenti. Qui, in particolare, il modo in cui le tastiere fanno letteralmente da ponte tra le chitarre e la ritmica è da manuale e valorizza benissimo anche una melodia come sempre cristallina.

9 – Anymore
2017, da “The Echo Of Pleasure”

Qui, invece, sono molto più in vista le chitarre e il loro fuzz, che entra e esce nei momenti giusti per lasciare il meritato spazio alla linea melodica vocale e a un cantato particolarmente riuscito e espressivo, per poi farsi sentire con forza nel ritornello, in modo da dargli la necessaria spinta. Certo, l’idea non è originale, ma quando una cosa è fatta così bene, chi se en frega dell’originalità. Questa è una canzone che potrebbe rimanere in loop per diverse ore e nessuno proverebbe alcun fastidio nell’ascoltarla per l’ennesima volta consecutiva.

8 – Kelly
2014, da “Days Of Abandon”

Ed eccola la svolta pop di cui parlavo. Un disco che ha certamente diviso i fan, tra chi ha abbracciato in modo convinto il cambiamento e chi, invece, faceva affermazioni del tipo “se Kip voleva fare una cosa così, avrebbe fatto meglio a non usare il nome dei Pains“. Io, naturalmente, facevo parte del primo gruppo, tanto da imbarcarmi in un viaggio solitario fino a Chiusi, in Toscana, per vederli al mitico Lars Rock Fest con i Fear Of Men. Come dicevo, dura scegliere solo due canzoni, ma questa non poteva mancare, perché se dobbiamo premiare la svolta pop, allora è giusto includere la canzone più pop di tutte, quella più pura, capace di stabilire un rapporto quasi di confidenza con l’ascoltatore, a cui sembra di parlare con la persona più cara e fidata che abbia. La voce di Kelly Pratt sulla versione del disco e quella di Jessica Weiss durante quel concerto divino fanno moltissimo, ma anche dal punto di vista della scrittura e dell’arrangiamento, questa canzone è speciale.

7 – The Body
2011, da “Belong”

Uno degli esempi più perfetti di cosa voglia dire indie-pop di questo secolo. Questo è il secondo disco dei Pains, grazie a un suono che trasuda indipendenza da ogni poro e a un’attitudine pop di livello supremo. Ascoltate, ad esempio, questo gioiello, in cui sembra che i Jesus & Mary Chain stiano suonando una canzone scritta dai Belle & Sebastian, e capirete perché mi sto lanciando in lodi così sperticate. Il modo in cui questa canzone ti culla grazie alla riuscitissima interazione tra due elementi apparentemente in contrasto come una melodia pulitissima e un suono basato sulla distorsione è un qualcosa di unico e capace di durare nel tempo. La riascolto oggi, dopo oltre un decennio e l’emozione è sempre la stessa.

6 – This Love Is Fucking Right!
2009, da “The Pains Of Being Pure At Heart”

Meno pop e ancora più indie, questo esordio si fece, giustamente, subito notare grazie a una continuità a livello melodico che non si sentiva da tempo e una sfrontatezza nel citare con personalità riferimenti che ormai apparivano sepolti nel dimenticatoio per la maggior parte degli appassionati, come Field Mice, Pastels e Vaselines. L’impatto di quei jangle chitarristici così compatti, di quelle distorsioni così ben dosate e di quelle melodie così catchy è fortissimo ancora oggi e, anche se questo disco ha “dato la stura” a una rinascita di questo modo di fare musica, probabilmente nessuno è giunto alle sue altezze in seguito. E questa canzone l’ho scelta anche per il titolo, nel senso che finalmente era tornato a essere giusto e non più da sfigati amare certe sonorità e certe dinamiche compositive e di arrangiamento.

5 – Beautiful You
2014, da “Days Of Abandon”

Sei minuti di romanticismo senza freni e senza filtri. Un’ode all’amore sfuggito via che totalizza i pensieri da quando ci si sveglia a quando ci si addormenta, e non si vede all’orizzonte quando le cose andranno diversamente e si riuscirà a pensare a qualcos’altro. Questo stato d’animo è stato suonato e cantato molte volte, ma raramente meglio di così, con quel senso di sospensione che non ha per niente l’aria di volersene andare e intende monopolizzare la mente e i sentimenti di chi non vorrebbe altro che poter tornare indietro. Anche qui entra in scena lo sbalzo di intensità sonora tra strofa e ritornello, che però è giustamente molto meno marcato proprio per rappresentare al meglio quei mesi in cui ci si sente in un limbo e non si riesce a guardare oltre all’occasione perduta. Un ascolto struggente ma anche necessario, terapia d’urto gentile e carezzevole contro l’immobilismo sentimentale.

4 – Belong
2011 da “Belong”

Iniziare una canzone, o un disco, o un concerto, con un riff così pulito seguito da una rasoiata che, invece, trasuda buio e sporcizia, è semplicemente un modo perfetto e mette l’ascoltatore già in buona disposizione per immergersi nella musica. Se poi la canzone continua con una dinamica particolarmente accentuata sia tra i due tipi di suono che tra gli strumenti e la voce, beh, allora siamo già in Paradiso. Un meraviglioso esempio proprio di architettura della canzone, di come costruirla in ogni suo aspetto e mettere insieme le diverse anime con perizia estrema e lasciando spazio ai sentimenti. Uno spettacolo.

3 – Young Adult Friction
2009, da “The Pains Of Being Pure At Heart”

Sul podio di questa lista non ho granché da dire, nel senso che mi sembra di aver sviscerato a sufficienza tutti gli aspetti per cui i Pains sono stati speciali e spero continuino a esserlo. Le tre canzoni di testa lo sono perché, semplicemente, non potevano non esserlo. Ad esempio, quando ascolti un gioiello come questo, come fai a non farti catturare dal primo all’ultimo secondo, con quel modo così giusto di usare la chitarra e la sezione ritmica, quelle gentili armonie vocali, quelle parole così semplici e efficaci, oltre a tutti gli altri pregi della band che ho già elencato? Semplicemente, non puoi, ed è stupendo perdersi in questo brano particolarmente a fuoco e irresistibile.

2 – Come Saturday
2009, da “The Pains Of Being Pure At Heart”

Anche qui basta la combinazione tra abrasività e scorrevolezza del riff iniziale, col vocalismo messo al momento giusto, per farsi amare senza sforzo da chi ascolta, poi si prosegue con l’adrenalina sempre alta, qualche oscillazione sonora mirata senza esagerare e uno dei ritornelli più appiccicosi di tutto il repertorio dei Pains, che lo senti mezza volta e non se ne va mai più via. Alla fine la vuoi riascoltare altre dieci volte, nonostante tu la conosca da 15 anni e si sia ormai interiorizzata dentro di te. Immortale.

1 – Heart In Your Heartbreak
2011, da “Belong”

Un ritornello praticamente imbattibile porta questa canzone in vetta alla mia lista, e non che il resto del brano sia di livello inferiore, ma diciamocelo, quando pensiamo ai Pains, la prima cosa che arriva alla mente è la perfezione di questo ritornello, anche per via di un testo decisamente rappresentativo e capace di colpire nel segno quanto la parte musicale e vocale. Poi mettiamoci anche la maestria nell’alternare in primo piano chitarra e tastiera, entrambe sia in versione morbida e gentile che distorta e ficcante, e abbiamo una canzone leggendaria, indubbiamente uno dei super classici dell’indie di questo secolo.