50. BLUSHING
Sugarcoat
[ Kanine ]
La nostra recensione
Al terzo atto di una discografia, fin qui, molto convincente, i Blushing raggiungono il loro apice qualitativo. Capace di togliersi di dosso i continui (e limitanti) paragoni con i Lush, il quartetto americano questa volta abbraccia gli anni ’90 nella sua interezza, ampliando i riferimenti anche a formazioni che sulla carta d’identità non espongono il marchio shoegaze. Ne risulta un disco molto potente, accattivante, vivace e dannatamente esuberante, in cui la band da il meglio di sé nella costruzione di melodie capaci di entrare subito in circolo. Non solo chitarre soniche ma anche accenni più dream o psichedelici fanno capolino: tutto è calibrato alla perfezione.
(Riccardo Cavrioli)
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49. ESTRA
Gli anni venti
[ Moonmusic ]
La nostra recensione
Si confrontano col proprio passato gli Estra, evocato in controluce in dettagli evidenti a chi ne conosce la discografia ma non restano imprigionati in ciò che erano. Guardano avanti, verso il 2026 possibile, descrivono un paesaggio desolante e provano a domandarsi dove ci siamo persi, che cosa siamo diventati, aggrappati a un filo “ma se guardi bene il filo è spinato” in un album che va controcorrente. Pungente, ribelle, profondamente rock.
(Valentina Natale)
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Un altro gran bel disco questo “Tigers Blood” in cui si puo’ godere di una certa tranquillità ritrovata da parte di Katie e ciò si rispecchia nella sua musica: senza dubbio una delle migliori songwriter della sua generazione, la Crutchfield ogni volta riesce a compiere passi in avanti nella sua carriera e si ritrova ora in una posizione sicura e stabile nel mondo alt-country.
(Antonio Paolo Zucchelli)
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Ognuno ci può trovare quello che gli piace, c’è un larghissimo scivolo all’entrata di “In Waves”, per farsi trasportare da questo caleidoscopio sensitivo mirabilmente prodotto dalle mani di un talentuoso artista dei nostri tempi, capace di trasmettere anche l’emozione del sample in modo pionieristico, dove la conoscenza, il background diventa fruibile, non vezzo tecnico nè elemento dissacratorio, ma continuità dentro breakbeats precisi, solidamente distanziati, classici ma rinnovati, dal groove immediato: una piacevole sensazione di pulizia e fluidità che attraversa tutto l’album , resa ancora più forte dall’immancabile, stringente malinconia di fondo, che lascia l’effimero di cui ci nutriamo come l’alimento più illusorio e quindi necessario di cui possiamo disporre.
(Gianni Merlin)
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Chiaramente diverso rispetto ai suoi lavori passati, questo “Stillness, Stop: You Have A Right To Remember”, non perde nulla sotto il piano della qualità e, sebbene a nostro avviso suoni più pop, è assolutamente gradevole e ricco di dettagli mai banali: il cammino di Any Other è ancora una volta in crescita.
(Antonio Paolo Zucchelli)
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45. PINHDAR
A Sparkle On The Dark Water
[ Fruits de Mer ]
La nostra recensione
Per riuscire a gustarsi appieno l’epopea vellutata del nuovo album pubblicato dai Pinhdar, bisogna smarrirsi consapevolmente tra i meandri disincantati di un lavoro che si eleva (sin d’ora) al di sopra della media e che conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, tutte quelle peculiarità che hanno reso i Nostri una delle formazioni italiche dal maggior appeal internazionale.
(Francesco De Salvin)
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44. PAOLO BENVEGNU’
È Inutile Parlare D’Amore
[Woodworm]
Paolo Benvegnù un po’ come faceva Raymond Carver prova a capire di cosa parliamo quando parliamo d’amore, come gestire la complessità dei rapporti, la giostra dei sentimenti e della giustizia che manca in un mondo dove la tecnologia domina, divide e impera facendo spesso sentire impotenti. Nulla è perduto, si può ancora essere fuori – legge e fuori dal coro, in cerca di una libertà fatta di gesti solo apparentemente inutili ma in realtà ricchi di significato in modo che l’amore diventi evoluzione oltre che sana sopravvivenza.
(Valentina Natale)
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43. MOIN
You Never End
[AD 93]
La nostra recensione
E’ una metamorfosi sonora continua, quella di “You Never End”, un’esigenza di cambiamento che vuole rispecchiare, dal punto di vista musicale, quelli che sono i bisogni naturali degli esseri umani. Il movimento, la conoscenza e la contaminazione sono, infatti, elementi imprescindibili della stessa vita, anche se, oggi, in questo mondo così arido, prevedibile e moribondo, tutto viene traslato, ridefinito e riprodotto, in maniera artificiale, sul piano, fasullo ed innaturale, delle nostre esistenze virtuali.
(Michele Brigante Sanseverino)
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42. TAPIR!
The Pilgrim, Their God and The King of My Decrepit Mountain
[Heavenly Recordings]
I Tapir! al loro debutto discografico hanno saputo miscelare le rispettive competenze artistiche, incanalando una grande ricchezza di idee, e nel farlo hanno mostrato oltretutto una maturità sorprendente. Con tutti questi ingredienti, “The Pilgrim, Their God and The King of My Decrepit Mountain” si candida di diritto sin da ora tra i dischi più interessanti del 2024.
(Gianni Gardon)
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41. MERCURY REV
Born Horses
[Bella Union]
La nostra recensione
Un disco coerente dall’inizio alla fine, all’interno di un percorso inattaccabile, ancora una volta per una vita artistica diversa dal celebre passato, un album che riporta i Mercury Rev nel gotha dei signori della canzone, musica spirituale, onirica e sognante e particolarmente ispirata.
(Fabio Campetti)
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40. MOUNT EERIE
Night Palace
[P. W. Elverum & Sun]
La nostra recensione
Sarebbe un album a cui dare volentieri un 8 rotondo se non fosse per un paio di pezzi evitabili, tra cui i 12 minuti di “Demolition”. Ad ogni modo, “Night Palace” consolida Mount Eerie come uno degli artisti più profondi e innovativi nei panorami indie e folk dei nostri giorni. Mi piace pensare che se qualche entità aliena sbarcasse sulla Terra e ascoltasse questo disco, penserebbe che non siamo poi così da buttare.
(Luca Pasquinelli)
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38. JAMES JONATHAN CLANCY
Sprecato
[Maple Death]
La nostra recensione
Clancy riesce in modo mirabile e del tutto convincente a condensare il suo enorme potenziale e bagaglio di songwriter e produttore in un album che ci proietta in sonorità cosmiche di lontane epoche, dove la voce così profonda e carismatica serve a tracciare brevi ma vibranti profezie, dentro la migliore musica degli ultimi decenni, fra echi psych e elettronica quasi Nine Inch Nails, davvero eccellente.
(Gianni Merlin)
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37. BILL RYDER-JONES
Iechyd Da
[Domino]
La nostra recensione
Un album ricco di ballate e di pezzi capaci di arrivare al cuore di chi ascolta, seppur più malinconico rispetto a quello che il suo titolo poteva farci pensare, “Iechyd Da” è un lavoro di grande valore e, sebbene siamo solo a gennaio, merita sicuramente di finire nelle classifiche di fine anno.
(Antonio Paolo Zucchelli)
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36. JOAN AS POLICE WOMAN
Lemons, Limes and Orchids
[Play It Again Sam]
La nostra recensione
“Lemons, Limes and Orchids” scorre bene e in leggerezza, malgrado l’intensità dei testi e dell’interpretazione vocale: “l’album più sexy che ho mai fatto” dice lei. E a 54 anni, questo è già un bel risultato. Forse ottenuto grazie all’immediatezza del lavoro fatto in studio, con lei che canta mentre gli altri suonano, come si faceva una volta. Ma soprattutto aiuta, immagino, che l’artista abbia (ri)trovato l’amore mentre lavorava all’album. E l’amore, si sa, è sempre una grande fonte d’ispirazione.
(Giovanni Davoli)
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35. PORRIDGE RADIO
Clouds In The Sky They Will Always Be There For Me
[ Secretly Canadian ]
La nostra recensione
Vivo in un paese adagiato ai piedi di dolci colline, sferzato, in continuazione, da un vento che è, a volte, impetuoso e prepotente, a volte, invece, leggero e piacevole, ma che costringe, sempre e comunque, le nuvole a restare, perennemente, sospese ed imprigionate sulle sommità di quelle stesse colline. Nuvole che sembrano essere lì per ciascuno di noi, come se fossero la testimonianza, concreta e consistente, dei tumulti romantici del nostro passato. Tumulti che tratteniamo dentro di noi; che conserviamo con insistenza; che sfamiamo col nostro presente; che proiettiamo nei nostri impossibili futuri.
(Michele Brigante Sanseverino)
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34. DIIV
Frog In Boiling Water
[ Fantasy / Concord ]
La nostra recensione
Un disco meno immediato, più studiato nei dettagli, come spesso si dice, quello della maturità, che è anche la strada, pur facendo sempre la stessa cosa, per non ripetersi e rinnovarsi. Confesso di avere un piccolo debole per i DIIV, che trovo tra le cose più degne di nota dell’ultimo decennio, non tanto, ragionevolmente, per l’originalità della proposta, per cui non sono mai state disdegnate le evidente references, ma per il succitato talento di scrittura. Zachary Cole Smith è sicuramente uno dei nuovi punti di riferimento di genere, tranquillamente paragonabile a blasonati colleghi.
(Fabio Campetti)
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33. XIU XIU
13″ Frank Beltrame Italian Stiletto with Bison Horn Grips
[ Sub Pop ]
La nostra recensione
Nella discografia degli Xiu Xiu, forse questo è il lavoro più accessibile al grande pubblico, senza però rinunciare alle continue sperimentazioni, ormai caratteristica fondante del gruppo. Si tratta del disco più rock della loro carriera ma allo stesso tempo inquieto, una spirale che scende sempre più giù per poi risalire ed esplodere come un fuoco d’artificio.
(Dimitra Gurduiala)
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32. BEAK>
>>>>
[ Temporary Residence Limited ]
Questo dei Beak è un album senza tempo e senza fretta. Questo disco sarebbe potuto uscire nel 1970 o nel 2170. Queste canzoni potrebbero durare due minuti o venti. Soft Machine, Genesis, Syd Barrett. Nomi giganteschi certo, ingombranti sicuro. Ma quanto mai adatti a descrivere la grandezza di questa opera.
(Luca Pasquinelli)
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31. CRACK CLOUD
Red Mile
[ Jagjaguwar ]
La nostra recensione
I Crack Cloud posso essere definiti come la vera band indie e fanno tutto in proprio, musica, video, copertine e tutto il resto. Il passaggio alla Jagjaguwar non cambia la filosofia della band che rimane vera , diretta e per certi versi geniale, con un Zach Choy sempre protagonista. Il lavoro è un album punk moderno, con alcuni riferimenti ai Clash, e tanto del loro sound caratteristico. Sono ormai una sicurezza e questo lavoro ( che secondo me loro temevano non ne venisse capito lo spirito ) sicuramente li conferma. Miglior album punk dell’anno e non solo.
(Fabrizio Siliquini)
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30. MANNEQUIN PUSSY
I Got Heaven
[Epitaph]
La nostra recensione
“Softly” invece è la classica power ballad sporca e grungy in cui Congleton è maestro, genere che i Mannequin Pussy dimostrano ancora una volta di saper padroneggiare con gusto e personalità, caratteristiche evidenti anche in “Split Me Open” chiusura minimale, iper melodica, accattivante di quello che è indubbiamente il loro album più completo, vario e accessibile che si dimostra meritevole delle molte lodi ricevute.
(Valentina Natale)
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29. DOECHII
Alligator Bites Never Heal
[ Top Dawg Entertainment/Capitol ]
La new sensation dell’hip-hop a stelle e strisce. Doechii ha realizzato uno degli album più belli del rap mondiale. Flow dinamitardo, testi sarcastici e autoironici, refrain gustosissimi. Insomma, per chi scrive, “Alligator Bites Never Heal” è un disco che merita ampiamente.
(Francesco De Salvin)
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28. CHAT PILE
Cool World
[ The Flenser ]
La nostra recensione
“Cool World” dei Chat Pile è un’incarnazione malata, sconvolgente e apocalittica dell’angoscia esistenziale del XXI secolo. Un viaggio sonoro che fonde sludge metal, noise e post-punk in un suono potentissimo e inquietante, capace di trasmettere emozioni pure e genuine, a metà strada tra devastazione e catarsi. Sfruttando a dovere la forza evocativa di una musica che più psicotica e selvaggia non si può, la band statunitense guidata da Raygun Busch esplora gli angoli più oscuri dell’umanità, mantenendo alta l’intensità dal primo all’ultimo minuto. Un disco che, tra dissonanze e urla, traduce in suono gli aspetti più crudi del mondo moderno, sempre più freddo e desolante. Deprimente ma bellissimo.
(Giuseppe Loris Ienco)
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27. GOAT
Goat
[Rocket Recordings]
La nostra recensione
È come ballare “La Febbre Del Sabato Sera” in mezzo a un rito voodoo. È un album dei Mothers of Invention in versione Afro-Party. Un’orgia funky-hard psichedelica, con assoli gargantueschi e ritmi irresistibili. Insomma, “Goat” è una goduria e un divertimento. Si balla e ci si sballa dall’inizio alla fine. Il tutto, ovviamente, suonato e cantato alla perfezione.
(Luca Pasquinelli)
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26. BIG SPECIAL
Postindustrial Hometown Blues
[SO RECORDINGS]
La nostra recensione
I Big Special li seguivo da un po’ di tempo e avevo grosse speranze ma che uscissero con un album di questo livello non me lo aspettavo, superano ogni aspettativa e infilano una serie di brani incredibili. Album che riesce a coinvolgerti e farti entrare nel loro mondo grazie ai loro testi e alla loro musica che tra elettronica, grandi linee melodiche, rap e una specie di atmosfera blues metropolitana non sbaglia un brano, li ho ascoltati a lungo e ancora oggi li ho rimessi sul piatto, grandiosi. Il miglior album d’esordio dell’anno e inevitabilmente il numero uno.
(Fabrizio Siliquini)
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25. KENDRICK LAMAR
GNX
[ pgLang / Interscope ]
L’hip-hop ha il suo Dio e un album nuovo di zecca da venerare. Sì, perché “GNX” ricolloca Lamar sullo stesso trono su cui siede da circa un decennio. Si tratta di un album immediato, maledettamente accattivante, dove i suoni patinati dei decenni passati si fondono con la poetica urbana del rapper californiano. Un disco da Superbowl.
(Francesco De Salvin)
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24. BRIGHT EYES
Five Dice, All Threes
[Dead Oceans]
La nostra recensione
Ogni nuovo album dei Bright Eyes per quanto mi riguarda è un evento, un regalo, un incontro con un amico che non vedi da tempo e un affare quasi personale, per due motivi: il primo è che la band la consideravo ormai finita e persa nei ricordi (almeno fino all’uscita di “Down in the Weeds, Where the World Once Was”), il secondo è che Conor Oberst è un cantautore che ha qualcosa di speciale, un top player che misteriosamente ancora non riceve quanto merita. Il nuovo album piace al primo ascolto ma cresce notevolmente con il tempo, miglior album del cuore del 2023.
(Fabrizio Siliquini)
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23. KING HANNAH
Big Swimmer
[City Slang]
La nostra recensione
Crescono i King Hannah, disco dopo disco, tour dopo tour. Dopo aver girato Europa e USA in lungo e largo, tornano con il loro secondo LP. E tornano più densi, più maturi che mai. Già dalla title-track posta all’inizio lo capisci: lei, Hannah Merrick è sempre più padrona della voce; lui, Craig Whittle, ti fa viaggiare con la chitarra per tutta l’America. Il viaggio segue per tutto il disco: dal country, al roots rock e all’alt rock tipo Built To Spill (“Lily Pad”), con tocchi di garage rock (“New York”, “Let’s Do Nothing”) e slowcore (“Milk Boy (I Love You)”). Voce e chitarra a farla da padroni, come ai tempi che furono. Un disco di rock rotondo e americano.
(Giovanni Davoli)
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22. THE LAST DINNER PARTY
Prelude to Ecstasy
[ Universal Music ]
Lo stile vittoriano non è stato mai così cool come con The Last Dinner Party e il loro album di debutto. Hanno letteralmente rubato la scena, diventando un fenomeno mondiale grazie alle loro canzoni semplici, ma di grande effetto grazie ai loro testi attuali e socialmente inerenti a quello che si vive tutti i giorni. Non si poteva chiedere di meglio.
(Lucagian)
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21. YARD ACT
Where’s My Utopia?
[ Universal Music ]
La nostra recensione
Siamo alla seconda fatica di questo gruppo poliedrico e ben strutturato. Nel 2024 gli Yard Act ci hanno rivolto una domanda ben precisa ovvero dov’è la loro utopia? Con questo disco vanno oltre il post-punk iniziale, aggiungendo quel tocco in più che rende l’album completo ed interessante a livello internazionale. Sono una band da tenere d’occhio, sempre, soprattutto per la loro forza dal vivo.
(Lucagian)
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20. FRIKO
Where we’ve been, Where we go from here
[ATO]
La nostra recensione
Gli estremi. Gli estremi che si allontanano, si cercano, si guardano e si studiano, ma poi finiscono con l’attrarsi, si fondono e diventano materia empatica e dall’altissimo tasso emotivo. Si, perché il disco d’esordio dei Friko, band di Chicago, è l’emblema in musica di come davvero gli estremi possono trovarsi e sublimarsi per consegnarci qualcosa di memorabile.
(Riccardo Cavrioli)
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19. MJ LENDERMAN
Manning Fireworks
[Anti-]
La nostra recensione
Un musicista di soli venticinque anni e ricco di talento con una carriera davanti che senza dubbio è destinata a decollare e la Anti- ancora una volta sembra averci visto molto bene: un lavoro concreto e di grande qualità per Lenderman.
(Antonio Paolo Zucchelli)
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18. FATHER JOHN MISTY
Mahashmashana
[ Sub Pop ]
La nostra recensione
Parliamo di un DISCO con tutte le lettere maiuscole. Father John Misty dimostra di essere un purosangue, un fuoriclasse, un classico contemporaneo come ce ne sono pochi. “Mahashmashana” è un termine sanscrito che significa “grande campo usato per la cremazione”. Non c’è nulla di funereo in questo disco ma di epico e in qualche modo eterno sì, eccome. Si percepisce un’atmosfera bigger than life che pervade tutto l’album. Sontuoso.
(Luca Pasquinelli)
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17. IDLES
Tangk
[Partisan]
La nostra recensione
L’unione tra il talento infinito di Godrich, l’energia di Kenny Beats e ovviamente la classe e la qualità degli Idles messi insieme in una stanza ha portato un disco estremamente interessante in cui la band di Bristol dimostra di essere capace di prendere rischi importanti, ma che la portano a progredire in maniera decisa: magari non tutti i vecchi fan potranno amare questo lavoro e, senza dubbio, ci vogliono alcuni ascolti prima di poterlo digerire e comprendere, ma a nostro personalissimo avviso ognuno di questi quaranta minuti vale la pena di essere ascoltato.
(Antonio Paolo Zucchelli)
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16. NILUFER YANYA
My Method Actor
[ Ninja Tune ]
La nostra recensione
Nilüfer Yanya consolida la sua posizione di punta tra i talenti più innovativi del panorama musicale moderno con “My Method Actor”, un album che mischia pop, rock, grunge, jazz, soul e molto altro, dando vita a un sound personalissimo e sorprendente. Con il suo stile inconfondibile e una produzione raffinata, Yanya dimostra di essere un’artista ormai matura, attenta alla sperimentazione, capace di mescolare tra loro energia grezza e pura eleganza. “My Method Actor” è un’opera originale, coesa e senza compromessi; un’autentica prova di talento in un contesto musicale che troppo spesso ignora artisti di tale caratura. Un must per chi cerca un pop veramente moderno e innovativo.
(Giuseppe Loris Ienco)
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14. CHARLI XCX
BRAT
[ Atlantic ]
La nostra recensione
La consacrazione (definitiva) di Charli. Il suo personalissimo party pop e sfrenato. “BRAT” è il disco giusto al momento giusto di un artista che prova a reinventarsi ad ogni giro di giostra. “Talk Talk” è un pezzone fotonico. Cos’altro aggiungere?
(Francesco De Salvin)
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13. GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR
No Title Ad Of 13 February 2023 28,340 Dead
[ Constellation ]
La nostra recensione
E’ così che i Godspeed You! Black Emperor presentano questo nuovo album. Nessun titolo, nessun nome, proprio come nessun nome hanno le vittime innocenti dei tanti, troppi conflitti che insanguinano il mondo. Noi stiamo qui a discuterne, a fare i professori, a dare patenti di legalità o di giustizia, a somministrare colpe e ragioni, ma, intanto, la pila del morti si fa sempre più alta. Morti senza alcun nome. La band canadese ci sprona ad agire; non basta dichiararsi pacifisti a parole, non è sufficiente affermare che la guerra è qualcosa di abominevole e poi continuare per la propria strada, magari facendo alleanze e stringendo patti ed accordi con coloro che queste guerre le promuovono, le alimentano, le sostengono e, spesso, le trasformano in ottimi affari.
(Michele Brigante Sanseverino)
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12. CHELSEA WOLFE
She Reaches Out To She Reaches Out To She
[ Loma Vista ]
La nostra recensione
Monumentale Chelsea Wolfe che con “She Reaches Out To She Reaches Out To She” prodotto da Dave Sitek realizza un album imponente, gotico, spettrale, rarefatto nei suoni e poetico nei testi. Una cavalcata dark e potente dove industrial, elettronica trip hop, si fondono con vigorosa grazia alla ricerca di sé tra passato, presente, futuro.
(Valentina Natale)
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11. JACK WHITE
No Name
[Third Man Records]
La nostra recensione
E’ una vita che si sente dire che il rock è morto o se non è morto comunque dorme nella foresta nera come fosse Biancaneve, ecco allora che ci pensa un principe sul cavallo bianco che imbraccia la sua chitarra e la sveglia a colpi di riff rock intrisi di blues. << Ohh come ti chiami mio bel principe >> sussurra la ragazza appena sveglia, << Sono Jack White ma ora torna pure a dormire mia cara >>. Miglior album rock dell’anno.
(Fabrizio Siliquini)
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10. NICK CAVE AND THE BAD SEEDS
Wild God
[Bad Seed Ltd / PIAS]
La nostra recensione
“Wild God” probabilmente non reca le stimmate infuocate dei tre precedenti lavori del Re Inchiostro e sembra fermarsi sempre a un passo da una epicità quasi retorica, eppure, ascolto dopo ascolto, la sua bellezza si rivelerà pian piano, conquistando ogni volta un pezzetto nuovo del vostro cuore.
Because love asks for nothing/
but love costs everything
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9. JESSICA PRATT
Here In The Pitch
[Mexican Summer]
La nostra recensione
Rispetto inoltre ai precedenti lavori, qui la Pratt gode dell’apporto diffuso di una band che con grazia e tocco la accompagna, accordando a volte un tono quasi spectoriano, come nell’iniziale “Life Is”, a volte portandola in territori bacharachiani, come nello splendido finale “The Last Year”, da fischiettare all’infinito, suggello ad un album delizioso, importante e raro, che potremmo tranquillamente riscoprire come uno scrigno segreto fra chissà quanti anni ancora, ritrovando le stesse intatte emozioni.
(Gianni Merlin)
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8. BETH GIBBONS
Lives Outgrown
[Domino]
La nostra recensione
La voce, qui, non è la stessa che abbiamo sentito con i Portishead. Forse gli anni hanno fatto il loro corso. O forse è lei che semplicemente si contiene. Il risultato, necessariamente e ad un primo ascolto, suona come un disco cupo. Ma non sappiamo se questo rifletta il suo stato d’animo e quanto Beth lo sia davvero cupa. Lei non canta, non lo ha mai fatto, di se stessa, ma del suo mondo interiore. Poco sappiamo di Beth Gibbons noi fan. Non ci serve, non ne siamo curiosi. Ci basta quella voce, così squisitamente femminile, che viene da un mondo profondamente interiore e intimo. Ci bastano dischi come questo. E speriamo per il prossimo di aspettare altri 11 anni.
(Giovanni Davoli)
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7. VAMPIRE WEEKEND
Only God Was Above Us
[ Columbia Records ]
La nostra recensione
Solo Dio è sopra di loro. Ed è proprio vero. I Vampire Weekend ci propongono un vero successo. Un album completo, il livello strumentale è arrivato poco sotto il nostro caro deus ex machina ed era inevitabile. Pezzo dopo pezzo si capisce quanto lo studio vada nel dettaglio, aggiungendo suoni che mischiati insieme ti fanno saltare la testa dall’infinita bellezza.
(Lucagian)
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6. BRIGITTE CALLS ME BABY
The Future Is Our Way Out
[ ATO ]
La nostra recensione
L’album è un susseguirsi di fuochi d’artificio, coinvolgente fino alla fine, tra chitarre scintillanti, un mood spesso malinconico se non strappalacrime e un basso che, quando si fa sentire, è sempre interessante. Un esordio da grande band con molte frecce nella loro faretra (a partire dalla figura carismatica di Wes): noi già li vediamo come una band molto capace che, siamo sicuri, riuscirà a crearsi un vasto seguito.
(Fabrizio Siliquini)
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5. THE SMILE
Cutouts
[XL recordings]
La nostra recensione
Cosa c’è di nuovo? Non saprei rispondervi. Vi chiederei però di dirmi dove altro potete ascoltare questa perfetta miscela di sperimentazione e accessibilità. Questa via di mezzo inedita tra l’inascoltabile e l’orecchiabile. Soltanto 10 tracce per 44 minuti, come ai vecchi tempi. In “questi anni ’20″, streaming e tecnologie consentono agli artisti di rilasciare ogni scoreggia musicale che gli passa in testa allungando a dismisura i loro sempre più lunghi “long-playing”. Non è certo il caso di “Cutouts”: 10 “ritagli” di perfetto “art-rock” per il disco più bello rilasciato finora dalla “band più importante di questi anni ’20″.
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4. FONTAINES D.C.
Romance
[XL]
La nostra recensione
E chi se lo aspettava questa svolta degli irlandesi? Ammetto che forse all’uscita di “Starburster” le aspettative per il disco erano parecchio alte, e forse il risultato effettivo non è riuscito a superarle; a parte tutto, è comunque un gran bell’album. Nonostante quanto sia stata sottovalutata finora, “Horseness Is The Whatness” è la traccia più emotivamente intensa e interessante, tra archi e un titolo che rimanda all’Ulisse di Joyce – perché insomma, sarebbero davvero i Fontaines D.C. senza rimandi alla cultura irlandese?
(Dimitra Gurduiala)
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2. THE SMILE
Wall of Eyes
[ Self Help Tapes ]
La nostra recensione
Non può che non essere così, troppa quasi inverosimile abbondanza in un solo anno , mentre dopo l’ascolto di “Cutouts” si capisce che trattasi di chiusura del cerchio di una delle esperienze più importanti almeno del decennio, un trio formidabile, dove le canzoni sgorgano da una fonte di ispirazione infinita, fra le melodie di York, gli arpeggi di Greenwood, l’ecclettismo di Skinner e una continua connessione con la ricerca, che dà un maggiore senso al tutto e rende semplicemente una gioia l’ascolto, canzone dopo canzone.
(Gianni Merlin)
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1. THE CURE
Songs Of A Lost World
[ Universal ]
La nostra recensione
Il mondo perduto dei Cure è incredibilmente affascinante per come riesce a interpretare le idee tormentate di una band che dopo sedici anni di assenza discografica torna con un album maestoso. Melodie dark, riferimenti al passato e lunghi passaggi strumentali raramente immortalati su disco, molto frequenti in concerto, in un racconto contemporaneo e toccante.
(Valentina Natale)
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