è tornata Cindi Mayweather, meglio nota come Janelle Monáe. Per l’uscita del suo primo album “ArchAndroid” (2010) Janelle si era calata nei panni del suo alter ego Cindi, un androide “come noi”, figlia del nostro tempo, paladina delle minoranze e delle diversità – che poi ai nostri giorni sono la routine, in un mondo che va veloce e cambia incessantemente. Cindi era già presente nell’ EP Metropolis (2007), in cui Janelle delineava la nascita di una trilogia concettuale basata proprio sulla figura dell’altro. E chi meglio di un androide donna e nera poteva mettere in scena la diversità ?
“Archandroid” era stato un successo internazionale, nominato ai Grammy come miglior album r&b contemporaneo, consacrazione di Janelle come la nuova stella del soul. Tutto questo per dire che Janelle ha ben chiaro cosa sia la spettacolarizzazione. Sin dall’inizio ha edificato ad arte il suo personaggio e le sue creazioni, e lo dico con ammirazione. Mi dà l’idea di essere una di quelle persone che se non hanno una cosa se la inventano.
Il suo secondo e ultimo album “Electric Lady” prosegue sulla scia del lavoro fatto in precedenza, ne continua l’impostazione corale e cabarettistica ma mi sembra che vada più al sodo. Sarà anche per via di un naturale processo di crescita personale che Janelle (ora ventisettenne) sembra più vicina a un punto di equilibrio tra apparire ed essere. Forse adesso ha davvero da dire la sua.
Dopo aver fatto tesoro delle esperienze dell’infanzia trascorsa a pane e soul, protetta sin dagli esordi da Big Boi, è arrivata ora a collaborare con un rosa di artisti del calibro di Erykah Badu, Esperanza Spalding, Miguel e, tanto di cappello, Prince. Proprio il folletto di Minneapolis l’ha presa sotto la sua ala protettiva diventando per Janelle un mentore – dice lei – e portandosela in tour. “Givin’ ‘Em What They Love” si chiama il pezzo in cui duettano: un omaggio al falsetto e alla chitarra del Principe e un’esaltazione della grinta – reale, altro che cyber – di Janelle.
Basta guardare la copertina in stile Supremes per capire che si respira aria di Motown in tutto l’album. Ma soprattutto si respira aria di buona musica in diverse sfumature, dal soul al jazz alla dance. E non credo che sia frutto di una personalità artistica ancora immatura ma che sia semplice versatilità , anche se talvolta declinata in una chiave un po’ tanto semplicistica come nel duetto melodico con Miguel, su una morbida campionatura di “Where is my mind” dei Pixies.
Ma l’anima della Monáe mi pare sia principalmente quella sbarazzina e scoppiettante di “Dance Apocalyptic”, che le permette di tirare fuori la sua verve da entertainer. E la sua espressione più congeniale la trova in quella efficace commistione di suoni e sentimenti black di cui è manifesto “Q.U.E.E.N.”, il pezzo con Erykah Badu, primo singolo dell’album e già in circolazione da alcuni mesi.
Even if it makes others uncomfortable I wanna love who I am, ne recita un verso.
Quest’album suona chiaramente come una rivendicazione e Janelle non si fermerà qui.