Dean Wareham è un piccolo pezzo di storia della scena indipendente americana. Leader di quei Galaxie 500 che hanno segnato la fine degli anni ottanta con una manciata di album intensi e amaramente disillusi, avventura finita malissimo come spesso accade, poi di quegli eclettici artigiani del dream pop che sono stati i Luna. Archiviata anche questa esperienza Wareham si è tenuto occupato con Dean & Britta, duo fondato insieme alla moglie Britta Phillips, componendo colonne sonore e facendo l’attore nel tempo libero. L’anno scorso l’uscita dell’ottimo “Emancipated Hearts”, EP solista che dimostrava come la vena creativa del buon Dean non si fosse affatto esaurita.
I nove brani di “Dean Wareham”, prodotti da Jim James dei My Morning Jacket, lo confermano: Wareham ha ancora molto da dire e da dare. Si dice che fare un disco da soli, senza gli scontri e i dibattiti continui che una band inevitabilmente comporta (e che Dean ha sempre sopportato maluccio) sia un po’ come guardarsi allo specchio. E in effetti “Dean Wareham” ha il sapore agrodolce del bilancio di tutta una vita passata sul palco e per strada, a raccogliere storie.
Un album nostalgico come i ballerini dai vestiti un po’ fuori moda del video di “The Dancer Disappears” (pezzo ispirato da “Mary In The Morning” di Glen Campbel) ma dal sound maledettamente moderno, che parla di immaginarie partite di football, di amici perduti, di viaggi mentali, dell’amore da adulti. Meno sdolcinato delle cotte adolescenziali, altrettanto doloroso. Quell’amore che spesso non finisce bene, che delude, che ti spinge a chiederti “What Have I Done With My Life?” come succede in “Love Is Not A Roof Against The Rain”. Un tipo di amore che Dean racconta con la penna dolcemente affilata, lo sguardo da acuto osservatore che ha sempre avuto, un pizzico di malinconia regalata dall’età che avanza e un briciolo di sano cinismo, quello che qualche anno fa gli ha fatto ammettere candidamente in un’intervista: “le canzoni non devono avere senso, puoi prendere un’idea e (“…) mischiarla alle tue esperienze personali e a qualcosa che vedi in TV tanto nessuno se ne accorge o non gliene importa”. La voce è la solita, sognante e a volte quasi sul punto di spezzarsi ma sempre capace di creare le perfette armonie pop ““ rock di “Holding Pattern” e “Babes In The Wood”(che non avrebbe sfigurato in un album dei Galaxie, se Jim James non ci avesse messo lo zampino). Curatissimi, come sempre, gli arrangiamenti. La chitarra acustica che accompagna le confessioni a cuore aperto di “My Eyes Are Blue” lascia spazio ai toni più sperimentali e decisamente rock della cattivissima “I Can Only Give My All”, altro pezzo in cui l’apporto di Jim James si sente più che altrove ma non in modo spiacevole.
Non è più il ragazzo che ha scritto piccoli album capolavori come “Today” o “On Fire”, Dean Wareham. Però è uno di quegli artisti che invecchiano (o maturano se preferite) con eleganza, i capelli spruzzati di grigio come gli attori degli anni quaranta. Di illusioni non ne ha mai avute e forse, chissà , a cinquant’anni ha qualche rimpianto di troppo sulle spalle. Ma cerca ancora di capire come si fa a vivere “happy and free, for a while”.