Tornano i Woods, piccoli sciamani in erba del pop rock psichedelico. Leggermente in ritardo rispetto a quella tabella di marcia da lavoratori indefessi che li ha portati a pubblicare più o meno un album all’anno dal 2005 in poi. “With Light And With Love” arriva a due anni di distanza da “Bend Beyond” ed è piacevole ritrovare Jeremy Earl, Jarvis Taverniere, Kevin Morby e Aaron Neveu che come al solito si divertono a trasformare le copertine dei dischi in piccoli campionati di enigmistica (l’avevano già fatto nel 2012 con la cover art dello split Woods / Amps For Christ).
Ma qualcosa è cambiato nella musica dei Woods lo si capisce fin dalle prime note di “With Light And With Love”, primo album ad essere registrato in un vero studio. Jeremy e Jarvis (cuore e anima del gruppo) sembrano proprio volersi lasciare definitivamente alle spalle il passato fatto di DIY totale, dischi concepiti e realizzati nel salotto di casa, brani scritti di getto e suonati con spontaneità estrema.
Non c’è nulla di improvvisato in questo ottavo album, uno dei più accessibili e commerciali della band newyorkese. Dieci canzoni curate in ogni minimo dettaglio, rifinite, addomesticate. Che, come già era successo in “Bend Beyond”, spesso non superano i tre minuti. Quasi nessuna traccia delle lunghe jam di qualche tempo fa, quegli esperimenti sonori curiosi e un po’ folli che Earl e Taverniere portavano volentieri fino alle estreme conseguenze, tranne forse i nove minuti della title track punteggiati da un organo volteggiante e da una chitarra tagliente. I Woods del 2014 scelgono di percorrere una strada diversa: lo psych pop di “Moving To The Left” e “Twin Steps”, il pop raffinato di”Full Moon” e “Shepherd”, il dream pop psichedelico di “Leaves Like Glass” e “Shining”, il folk maturo di “New Light” e “Only The Lonely”, quello contaminato dagli archi dell’ottima “Feather Man”.
Quelli di “With Light And With Love” insomma sono dei Woods formato ridotto, versione bonsai ma va bene anche così. Ispirati più dal pop anni sessanta del Syd Barrett solista e dal Neil Young bucolico che dalle infinite evoluzioni musicali dei Grateful Dead, non vogliono più essere chiamati jam band e nemmeno hippie. Ormai sono cresciuti, allontanandosi dalla magia di “At Echo Lake” di cui si sente un po’ la mancanza. Gradevoli, giocosi, orecchiabili, anche senza osare troppo riescono comunque a divertire, a far sorridere e riflettere, ad accompagnare le giornate con la loro musica.