Un cantautorato a zig zag quello del pugliese Luca Loizzi, storie, pezzi di vita propria, ritmi e metafisiche ballonzolanti lungo tutta la tracklist compongono il secondo album dell’artista, “Canzoni quasi disperate”, dieci tracce di una scrittura veloce e d’impatto, sentimenti, amori, illusioni e non che s’intricano, si scogliono o fanno matassa dentro sguardi e collisioni poetiche che descrivono l’Italietta che ci circonda colma di quei personaggi furbastri e umanità senza decolli chiusa in una quasi drammaticità teatrale senza biglietto.
Un disco di “compagnia” intesa come confidenzialità amicona, una “radio popolare” che diffonde verità e sogni contro l’aridità del vivere quotidiano, tracce che delineano un cantautorato sensibile e caustico in cui Loizzi immette molto di sè, ci si tuffa con argomentazione e anche con quel bel filino di “guittità folkly” che ricama la tela totale della sua ispirazione; folk, swing, latinità mediterranea, bosse nove e afflati mediorientali fanno la spola tra la spennata caracollante di E se per caso e lo swing dinoccolato di “Canzone filosofica”, tra il languido latin “Da domani” all’innesco rock che infiamma “I miei giorni migliori”, un disco che tutto sommato finisce per piacere a stampo, un qualcosa che- senza tante rivoluzioni Copernichiane ““ riesce a stabilire un buon ascolto e un altrettanto piacere dal sapore vagamente retrò.