Arrivo appena in tempo al MusicDrome di Milano per apprendere con somma gioia che l’accredito vinto on line per la serata era una burla carnevalesca.
La scena è tipicamente fine anni 70/80, in stile cinema dell’oratorio di campagna.
Rimango in braghe di tela.
La brutta notizia tarda ad essere metabolizzata ed è così che mi perdo l’intera esibizione degli A Classic Education, da Bologna, lasciati alla mercè di un’organizzazione a dir poco inesistente e di una location praticamente vuota.
Cerchiamo di contarci per bene, noi presenti, e capiamo che, ancora una volta, la Milano da bere decide per la santificazione dell’aperitivo open air piuttosto che tuffarsi in una serata interessante anche se afosa ed estraniante.
Alla fine siamo più o meno una trentina di cristiani, appariranno dopo i concerti anche alcuni indiani residenti nella zona, ancora in forte imbarazzo per il pagamento di un fee d’ingresso mai comunicato ufficialmente.
Fatto sta che gli Hatcham Social salgono sul palco imberbi, glabri, con gli occhi storditi fissi nel vuoto e con quel non so che che ti fa venire voglia di abbracciarli tutti insieme con tenerezza estrema.
Per dargli la carica e rincuorarli che restano comunque un combo valido e competitivo e che la colpa di un simile flop non e’ da ascrivere alla loro imperizia. Sindrome da fratello maggiore credo!
Il live inizia alla grande e vengono sciorinate una dopo l’altra con crescente emozione da ambo le parti, tutte le piccole hit da sconfitto esistenziale che contraddistinguono l’album.
Gemme brillanti che fanno gridare al miracolo e che per il sottoscritto esploderanno da qui ad Ottobre, si spera, quando torneranno in Italia all’interno di un tour degno di tal nome.
Difficile descrivere l’emozione di stare appoggiati ad una transenna e scoprirsi a cantare quelle quattro strofe quattro che davvero hanno fatto la differenza nelle settimane passate.
“So So Happy Making”, “Murder In The Dark”, “Crocodile”, “Hypnotise Terribile Eyes”, ” I Cannot Cure My Pure Evil” ed un pugno di altre, rappresentano la summa poetica del quartetto londinese e ti entrano dentro come razzi a Gaza.
Sono quella manciata di minuti di gioia estatica che aspettavi a cuore aperto da tempo: la gioia di essere ad un concerto perche’ vuoi essere lì e non per altro.
Ci sono chitarre scintillanti, armonie perfette come un raggio di sole a giugno, ottima presenza vocale e scenica, con il batterista a percuotere le pelli perennemente in piedi in una sorta di trance programmatica.
Davvero bravi questi ragazzi. Un incrocio virato pop perfetto e luminoso, al di là di inutili isterie glamour, tra Josef K., Echo & The Bunnymen, Gang Of Four ed una spruzzatina di Jesus & Mary Chain.
Dunque ecco i nuovi eredi, ci auguriamo, della migliore tradizione wave britannica.
E, a detta di alcune vecchie volpi presenti, assolutamente il miglior debutto inglese in terra meneghina da anni. Superiore anche a quello dei Franz Ferdinand, sicuri di non rischiare il reato di lesa maestà .
Voto Hatcham Social: 4/5
Voto organizzazione: 2/5
Link:
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Recensione “YOU DIG THE TUNNEL, I’LL HIDE THE SOIL”