Penso che il lavoro dell’artista sia molto duro soprattutto per il rapporto che si viene a sviluppare con i propri fan. Di natura infatti, noi ascoltatori, siamo ambiguamente incontentabili. Quando esce un nuovo album e il nostro artista svolta il proprio suono allora è subito tutto un ‘ha tradito i proprio fan di vecchia data’.
Al contrario, quando un cantante, un gruppo, un collettivo, o chiunque altro coinvolto nel mondo della musica compone un lavoro simile a quello precedente è sempre un coro di ‘Un album fotocopia al precedente, sempre di ottima fattura, ma alla lunga verrà alla noia.’
Per approcciarsi all’ultimo lavoro dei Calexico mantenere un atteggiamento così intransigente sarebbe probabilmente controproducente. Il duo Convertino-Burns infatti già da tempo ha cominciato un lento percorso di allontanamento da quel suono così “mittelamericano” per avvicinarsi sempre di più ad un’attitudine più pop, curata e, a tratti, sorniona.
Viaggio culminato poi in “Algiers” che sembrava potesse essere la svolta definitiva verso questa nuova vita dei Calexico.
Cosa ci si può aspettare da questo “Edge of the Sun”, quindi? Un riconferma? Un ritorno alle origini?
O magari tutte e due le cose?
Un po’ tutte e due, diciamo.
Già , in partenza si capisce che i vecchi Calexico non ci sono più o, qualora ci fossero ancora, non sono più soli. Le prime battute di “Falling with the Sky” infatti non hanno nulla a che vedere con quelle di “Gipsy’s Course”, piuttosto, sono parenti, consanguinee, con quelle campane che aprono “Disarm” degli Smashing Pumpkins ed introducono l’ascoltatore in un’opening track dal taglio particolarmente pop: un brano che fa leva sull’emozionalità dell’ascoltatore, in continui crescendo che culminano nei ritornelli.
Con la successiva “Bullets & Rocks”, abbiamo un passo indietro, verso le atmosfere più polverose e “road oriented” dei primi Calexico. Un bel brano, diretto e ben scritto, in cui le chitarra ricreano quelle atmosfere afose e desertiche della loro Arizona.
Tutto è poi impreziosito dal lavoro dell’amico Sam Beam (Iron & Wine), che imprime sulla traccia il suo marchio istantaneamente riconoscibile e universalmente apprezzato.
Improvvisamente, ad un certo punto dell’album, la band di Tucson si ricorda perchè ha deciso di riconoscersi in una città della California che giocando con la propria natura frontaliera, ha scelto un nome che fosse una crasi tra il proprio stato d’appartenenza e quello messicano (Calexico, appunto).
Ecco quindi, “Cumbia de Donde,” in cui un synth gioca con i ritmi mariachi e torna il cantato in spagnolo. Un esercizio di pure fan-service, forse. Un modo per dire guardate che siamo ancora noi, eh, probabilmente. Rimane, però, una canzone piacevole, che scorre bene, riportando l’ascoltatore in quell’universo agrodolce di frontiera in cui ci si chiede ¿A dònde vas?.
Si continua poi con “Miles from the Sea”, che è una bella ballata, a tratti epica e con un retrogusto quasi western, e con “Coyoacà n”, unico brano totalmente strumentale dell’album che riprende da quel ritorno di fiamma per l’America Latina intravisto poco prima in Cumbia de Donde.
E via ancora avanti, in un susseguirsi di brani più polverosi e vicini alla loro origine roots-rock e brani dall’anima più pop e commercialmente spendibili.
Arrivati in fondo si ha l’impressione di un bel album, prodotto con cura e studiato nei minimi particolari. Un lavoro minuzioso che ha portato ad un risultato assolutamente ammirevole.
Ascoltandolo ripetutamente però è accresciuta in me la sensazione, sempre più forte, ascolto dopo ascolto, che sia un album di cui ognuno di noi si dimenticherà dopo un po’ di tempo: uno di quelli che magari farà parte di un cammino di crescita personale ma che non crescerà con l’ascoltatore.
Questa percezione, a dirla tutta ,è stata acuita dal mio ascolto congiunto, in questi giorni, con “Carrie & Lowe” di Sufjan Stevens. Consumandoli entrambi, li ho metabolizzati dentro di me.
Ieri notte però, mentre mi giravo insonne nel letto, nella mia testa canticchiavo “Should I Have Known Better” e non “Falling with the Skie”s.
In altre parole, quella che sto provando a spiegare, è la differenza incolmabile tra un album semplicemente bello ed un capolavoro: il primo ti accompagna per un po’, il secondo non ti lascia più.
“Edge of the Sun”, è l’amico che ognuno di noi conosce in vacanza. Una bella esperienza intensa destinata a degradarsi nel tempo in qualche sbirciata furtiva in un profilo Facebook.
Credit Foto: Jairo Zavala