I Desaparecidos per Conor Obrest sono un amore di vecchia data. Non un semplice side project, anche se questo sembravano ad inizio millennio quando Obrest se li è inventati insieme a Matt Baum, Ian McElroy, Landon Hedges e Denver Dalley per prendersi una vacanza dai ritmi soft dei Bright Eyes. Non un semplice side project ma qualcosa di più. Una ribellione. Un’avventura consumata lontano dagli occhi indiscreti di quella band che gli stava dando fama, successo e qualche grattacapo. Una storia finita in fretta, perchè Conor non aveva abbastanza tempo da dedicare alle distrazioni visto che i Bright Eyes in quel periodo stavano finalmente raccogliendo i frutti di anni di duro lavoro. Una storia che sembrava finita, ma finita sul serio. Invece, tredici anni dopo aver svegliato le coscienze intorpidite dei teenager americani con “Read Music / Speak Spanish” del 2002, i Desaparecidos tornano alla carica. E somigliano tanto alla classica band di college americano con una coscienza politica molto spiccata, che non si tira indietro quando c’è da divertirsi un po’.
Se “Read Music / Speak Spanish” partiva da territori post rock per approdare all’emo, “Payola” rilegge tutto in salsa punk con un suono più pulito rispetto al passato, arrangiamenti molto melodici e un bello spirito anarchico. Ascoltando le quattordici canzoni di quest’album numero due si fa fatica a riconoscere il frontman posato, malinconico e intimista dei Bright Eyes. Conor Obrest sembra un ragazzino e i suoi fan potrebbero restare piuttosto sconvolti. Meno poeta e più casinista si agita, strilla, urla quasi fino a perdere la voce tra inni a pasionarie del nuovo millennio (l’imbarazzante “Te Amo Camila Vallejo” dedicata alla leader del movimento studentesco cileno protagonista delle rivolte del 2011) canzoni ispirate dalla cronaca più recente (“Anonymous”) e sfacciataggini varie tipo una “The Left Is Right” che si scaglia contro la corruzione imperante al suon di “Now we’re taking it back / For the greater good / Goddamn Robin Hoods”.
I velati sottintesi sperimentati nei testi dei Bright Eyes, in quelli da solista e con la Mystic Valley Band sembrano solo un lontano ricordo, Conor stavolta parla chiaro e cristallino sfiorando in più di un caso la banalità . Più che alludere mena, picchia forte, spaventa pure con l’ululato finale di “Ralphy’s Cut”. Ma i Desaparecidos sono soprattutto una bella rimpatriata tra amici nuovi e di lungo corso. Tim Kasher dei Cursive, che con Obrest ha condiviso un bel pezzo di carriera all’epoca dei Commander Venus, fa capolino in “City On The Hill”. Laura Jane Grace degli Against Me! duetta in “Golden Parachutes” e i So So Glos, punk band di New York City, se la prendono con quelli che a protestare non ci provano neppure in “Slacktivist”.
Il maggior difetto di “Payola” è che suona esattamente come deve suonare, nonostante i super ospiti e il buon lavoro fatto dal coproduttore e multistumentista Mike Mogis (già al fianco di Obrest nei Bright Eyes). Ribelle, grintoso, sfrontato, ritmi alti, poca paura e zero sorprese come tanti album di questo tipo. Musicalmente nulla di nuovo insomma, però non si possono sempre esplorare territori vergini nell’ambito delle sette note. Non la prova migliore uscita dalla penna e dal cuore di un musicista di indubbio valore come Mr. Obrest ma un buon album sul genere emo / punk. Energico, compatto e tirato dall’inizio alla fine, con un paio di canzoni superiori alle altre (“Underground Man” e “Von Maur Massacre”). Che sia con i Desaparecidos il futuro di Conor Obrest, ammesso che abbia veramente deciso di mettere a riposo i Bright Eyes? Chissà “…