Musicista e poeta senza alcun dubbio, ma anche un carattere amarognolo che alloggia dalle parti di Bert Jansch e John Martyn questo di Karl Culley, e per proporre un disco di tale fatta, “Stripling”, bisogna essere nuotatore di ricordi, idealisti e molto poeticamente sfacciati, e lui, lo è in tutte le tre cose messe insieme.
Lodato da una certa stampa inglese, l’artista di Harrogate (North Yorkshire) gode di un buon seguito underground, il suo modo di essere arte del linguaggio visionario è scandito da malinconie e luci fioche, sbalzi di umore e riflessioni brillanti, un songwriting che a tratti ricorda la prosaica di Dylan Thomas e quelle intuizioni ““ lontanissime ““ “Buckleyane” che si perdono tra incantevoli sfumature e atmosfere. Dodici brani, dodici emozioni a pelle che scorrono come fiamma di candela alla brezza, tra fingerpicking “Spinnered”, “School of the heart”, e stop & go “Come over to me”, “If we where free”, una chitarra acustica e il ritmo del polso ad imbastire una tracklist che all’inizio si fa prendere con le molle, in seguito si fa divorare per intero.
C’è un qualcosa di sensuale in questo poeta moderno, una grazia costernata che apre lo spirito dell’ascoltatore, scava e denuda ogni reticenza interiore senza avidità o fretta, si gestisce una propria idea di melodia e da alla vita il volo dreaming di Namesake, la camminata bluesy Infinity pool e la ventata garbata di “Memory’s like a hunting hawk”, la rimanenza è tutta da respirare avidamente.
Magnificamente essenziale!