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Il talento è come il coraggio: uno o ce l’ha di suo, o altrimenti non può darselo all’improvviso. E qui di talento ce ne è un bel po’. Chris Simpson, in arte Zookeeper, debutta con questo nuovo progetto dopo essere stato il leader dei ‘Mineral’ e dopo aver condiviso il palco negli anni passati con tutto il meglio della scena ‘emocore’ statunitense. Della precedente esperienza non rimane molto, se non un’attitudine ad entrare a testa bassa nelle canzoni senza farsi troppi calcoli e senza controllare eccessivamente il cuore che vorrebbe mangiarsi la voce. Si naviga nella più consolidata tradizione cantautorale americana, quella di gran classe per interderci, che non cede un metro alla noia o al già sentito, ma che invece crea in continuazione nuove melodie spingendo un passo più in là la chitarra e le sue corde infuocate. In questi casi la differenza spesso la fa la voce e qui il texano (guarda un po’ ancora una volta Austin partorisce un prodoto di gran classe) ne sfodera una molto particolare, vibrante, tesa, sanguigna e solida. Il ricordo subito cade su Adam Fontaine, cantante ed anima inquieta dei Two Gallants, però ripulita da quella sensazione di vecchio motore ingolfato, come se qualcuno gli avesse preso la faccia incandescente tra le mani e asciugandogli il sudore dalla fronte, l’avesse calmato. Ne rimane così la parte pulita, quella da bravo ragazzo di campagna, venata da una consolidata malinconia, sincera e mai artificiosa. Tutte le canzoni del disco rispecchiano un po’ l’immagine in copertina: un gruppo di amici intento a fare colazione, con tutti i colori velati da una leggera doratura nostalgica, quasi ad emanare un calore soffuso e rassicurante nel quale rifugiarsi. Mai foto fu più azzeccata. A partire dall’iniziale ‘I Live In The Mess You Are’, ballata che sboccia come un lillà a primavera, passando per ‘Two-Part Invention’ che a tratti pare essere una rilettura rallentata e claustrofobica di “Can’t Help Falling In Love With You” del grande Elvis, fino all’intensa ‘Flood Of Love’, la sensazione predominante è che dentro ci sia la parte più genuina della scena statunitense, dai Wilco a Will Sheff, a guidare l’ispirazione di Robinson. Anche perchè ci trovi tutto il bello ed il caratteristico della musica americana, e cioè la stratificazione e la cura manicale nel saturare l’aria come se fosse un Big Mac infarcito con tutte le loro diaboliche cremine, con la differenza che nel campo musicale il risultato è sicuramente più digeribile. In definitiva segnatevi da qualche parte questo nome, perchè come si dice in questi casi : “Il giovane promette bene”. E non dite che non v’avevamo avvertito.
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