Parliamo di Hyperdub e quindi risulta facile uscire fuori tema, toccando temi sociali vista la straordinaria foga con cui l’etichetta londinese incide nel panorama mondiale. L’ascesa merita un capitolo a parte, ma qui si dovrebbe recensire “Nothing” di Kode9 e dunque rimandiamo al futuro tali discorsi.
Steve Goodman, il boss, ha atteso la fine del 2015 per regalarci un lavoro che ad un primo ascolto pare scarno. Successivamente diventa evidente una stratificazione complessa, pur mantenendo quasi sempre un tono opaco.
Qui dentro c’è ben poco di umano, i riferimenti sono altrove in una città fatta di costruzioni impossibili da abitare. Muri portanti di vetro, letti che paiono bolle e strade capaci solo di ospitare una foschia a volte densa, altre no. Musicalmente parlando non è un disco dub, nè grime, il footwork è trasfigurato e si perde nella nebbia, il minimale va a braccetto con un ambient sporchissimo e la chiusura è affidata ad un riferimento perso nel vuoto. L’ultima “Nothing Lasts Forever” è una passeggiata finale nel mondo sopra descritto, il rumore del niente sopra ogni cosa.
D’altronde la press release parla chiaro, descrivendo un universo post-carestia. E il disegno sulla copertina ad indicare un lussuoso hotel vuoto di nome Nøtel.
Lo spazio deformato ci accompagna riavvolgendo il nastro fino all’incipit. “Zero Point Energy” raschia il vetro, “Nøtel” cantilena l’annullamento tra percussioni metalliche, ronzii di sottofondo e assuefazione allo zero. Il conto torna sempre perchè è a somma nulla, “Void” segna l’avvicinamento al passato recente che pulsa nella più recente sottrazione. In “Third Ear Transmission” c’è il compianto Spaceape in versione robotica, la voce declamante sparsa da scassati ripetitori agli incroci mobili creati da architetture in costante movimento. “Zero Work” è la nuova forma di orgasmo che si va a configurare: l’accelerazione infinita del beat a raffigurare una penetrazione totale, non tra umani ma tra case e palazzi. Con “Wu Wei” l’Oriente diventa preponderante, un’azione paradossalmente intesa come non azione nel Taoismo.
Continuare con “Casimir Effect” ci porta nel mondo della fisica. Il ritmo sconclusionato riproduce “la forza attrattiva che si esercita fra due corpi estesi situati nel vuoto (ad esempio due piastre parallele), dovuta alla presenza del campo quantistico di punto zero”. Dal fantasma dell’olandese Kendrik Casimir a quello dei nove samurai il passo è breve, “9 Drones” è un pezzo creato dall’instrumental del classicone “9 Samurai”. Se il vecchio singolo con la voce dell’immenso Spaceape garantiva l’apporto base di dubstep, qui il beat si piega al nuovo ambiente. La non presenza di alcun campo elettromagnetico e le fluttuazioni ampliano la frammentazione, tra rallentamenti ad effetto e velocità raddoppiata.
Il ballo risulterà per forza un’esperienza mai vissuta prima, lo aspettiamo in tour.