Era il lontano 2011 e “Il Problema Di Girarsi”, primo album solista di Mezzala, al secolo Michele Bitossi, aveva attirato la mia attenzione. Un po’ perchè seguivo la band di cui era cantante e leader, i Numero6, un po’ per la trasposizione metaforica del calcio in musica che sia il suo moniker sia il titolo dell’album richiamano, volutamente, a gran voce. Il problema di girarsi è uno scoglio che molte mezzale, siano esse scarpari o fenomeni, devono affrontare. Ed era anche un problema del nostro Mezzala, che iniziava una nuova avventura artistica, ma anche della nostra generazione in attesa che arrivi il colpo di genio, la giocata vincente che riesca a farci uscire da una situazione di stasi paralizzante. Il disco mi piacque molto sia per la sua scrittura, che fa l’eco al cantautorato anni ’80 di scuola Dalla, Fortis e Graziani e sia musicalente per gli arrangiamenti vicini a quelli che nella mia memoria recente collego facilmente ai Baustelle. Il tutto unito ai continui riferimenti calcistici, insomma un mix davvero accattivante.
è su queste basi che era in trepida attesa del suo nuovo lavoro.
Ci sono voluti ben quattro anni per la realizzazione del nuovo LP “Irrequieto”, anni in cui Mezzala si è dedicato oltre che alla scrittura del suo nuovo lavoro, ad u nuovo album con i Numero6 e a scrivere testi per altri artisti. “Irrequieto” è un aggettivo che lo descrive bene per sua stessa ammissione, quando si tratta di scrivere è un fiume in piena vista la sua quantità di produzioni negli ultimi anni. Ma irrequieto anche dal punto di vista caratteriale, sempre alla ricerca di se stesso per un continuo cambiamento. Non importa se in meglio o in peggio.
L’album rappresenta un cambiamento dal punto di vista della scrittura e degli arrangiamenti d’ispirazione più pop che rock, con riferimenti al folk anglosassone.
A formare l’undici titolare il c.t. chiama a raccolta agli arrangiamenti e alla produzione Tristan Martinelli e Ivan Antonio Rossi (Zen Circus, Virginiana Miller), che arrichiscono l’accompagnamento musicale di archi, fiati e cori.
Tutte le tracce sembrano essere votate ad un avvicinamento al mondo radiofonico che è sempre lontano da un certo tipo di musica, come nel brano di chiusura “Chissà ” lo stesso artista in compagnia del sodale Zibba autoironizza nella conversazione con un distributore di una major/radio di turno, prendendo un due di picche in favore dei talent monster contemporanei.
Ma quello che aveva caratterizzato il primo album, forse più acerbo e ruvido ma senza dubbio istintivo e diretto all’anima dell’ascoltatore, non sono riuscito a trovarlo nell’ultimo.
Anche la stessà identità vocale che lo rendeva riconoscibile, ora non si nota più, facendolo assomigliare a tratti ad un Bersani ligure.
La capacità di ironizzare sulla vita di tutti i giorni, sull’amore e sul mondo musicale rimane un punto forte della sua musica, ma la sua vena artistica non credo sia fatta per essere definita e racchiusa in schemi predeterminati a priori.