La domenica mattina ci svegliamo con i postumi della sera prima ed un irrimediabile mal de vivre. Sappiamo benissimo che qualcosa di molto bello sta giungendo al termine ma abbiamo la piena consapevolezza di volerci godere quest’ultima giornata fino in fondo. – Dobbiamo finire tutta l’erba Alma – sentenzio, così, forse solamente per tirarci su il morale, ma in realtà siamo tristi, tristi come il cielo, ancora il cielo, grigio come un pomeriggio londinese, che sembra costantemente voler tenere in bilico le nostre speranze così come il nostro stato d’animo. Come un mare di problemi dove praticare il surf.
Non piove comunque ed in programma vi è il recupero dei concerti annullati il giorno precedente, decidiamo quindi di dividerci, Alma va a seguire Yombe spostata nell’Ex chiesa del Crocifisso in modo tale da poter prendere subito posto in prima fila per la sua beniamina LIM, io e Sara andiamo al chiostro a seguire i Giant Sand, una band ” tradizionale”, più nelle mie corde. Stavamo per perdere la navetta ma dietro di noi arriva un ragazzo dello staff in motorino che ci carica tutti e due sul ciclomotore,ovviamente, senza casco. Per quanto banale o stereotipato ancora adesso per me questo rimane forse il momento più poetico dell’intera vacanza. Sicilia.
Arriviamo puntualissimi in paese per il concerto , il piccolo palco del chiostro che contiene a malapena la formazione è sormontato da un gazebo arancione. Non avevo mai avuto l’occasione per vedere i Giant Sand dal vivo,così come i Mudhoney, e per quanto diverse siano da entrambe le prestazioni quel che traspare è la grande capacità maturata negli anni da queste due band, l’ esperienza tangibile che conferisce quella una marcia in più. La formazione di Tucson tiene in pugno la situazione con una scioltezza del tutto naturale e anche gli improvvisi monologhi del proprio leader vengono immediatamente seguiti da un giro di chitarra. La band, eclettica per estrazione e provenienza, si da il cambio alle voci dando spazio a tutto il proprio variegatissimo panorama musicale . Con Howe Gelb empatizzo subito a causa della mia fede dudeista, sembra di aver a che fare col Jeff Bridges di “Crazy Heart”. S’inchina togliendosi il cappello, poi se lo cala sugli occhi, fa roteare la chitarra come una carabina e la riprende al volo, guarda dritto verso il pubblico. Mestiere. Invita tutti per una birra dopo l’ultima canzone ma questa birra sarà costretta a bersela suonando. Il pubblico in visibilio richiama i Giant Sand sul palco, Howe Gelb farà scegliere la canzone finale alla propria gente. Si chiude con “Shiver”, con un finale country blues da favola. Durante il concerto il cielo si apre ed illumina il chiostro, gli addetti dello staff spostano il gazebo mentre i Giant Sand continuano a suonare, la gente tutta, giuro, tira un sospiro di sollievo ed applaude. Ci sono i presupposti per una grande serata.
LIM – foto AlmaUsciamo da chiostro e troviamo ad attenderci la banda del paese in gran parte composta da membri dello staff. Come in una specie di processione profana veniamo scortati a tempo di musica fino all’Ex Chiesa del Crocifisso dove tra poco si esibirà LIM.
Arriviamo alla Chiesa, noi siamo leggermente più defilati, Alma è schiacciata in prima fila. Di tutti i concerti a cui ho assistito alla chiesetta questo è senza ombra di dubbio quello che mi è piaciuto di meno, ad essere sincero, proprio l’unico che non mi è piaciuto. LIM fa finta di strimpellare la chitarra ma in realtà credo che la maggior parte delle basi derivi dal Mac che è appoggiato sul palco. Si lamenta continuamente del microfono, la sua presenza statica verrebbe del tutto svuotata privandola dell’ausilio di visual, quelli si, forse i più belli dell’intera rassegna ed, in fin dei conti, tutto ciò che rimane del suo show. Probabilmente è solo una questione di gusti, una modesta opinione personale, se volete ascoltare un parere diametralmente opposto siete pregati di chiedere ad Alma.
Andiamo a cenare perdendoci Willis Earl Beal ricaricando le nostre batterie e quelle dei nostri cellulari prima del trittico probabilmente più d’impatto dell’intero festival : Minor Victories, Savages e Daughter.
I Minor Victories sono una superband formata da Stuart Braithwaite dei Mogwai e Justin Lockey degli Editors e Rachel Goswell (Slowdive), penso di aver già detto abbastanza. Hanno all’attivo un solo album ma tanto basta. Certo non tutte le superband escono col buco e badate bene che superband non dev’essere matematicamente sinonimo di gruppo a tutti gli effetti funzionante così come uno spogliatoio pieno di talenti non sempre basta per costituire una squadra vincente. Fortunatamente per noi questo non è il caso e Rachel Goswell dal vivo è tremendamente ipnotica.
Giunge così il momento delle Savages, il concerto che, per quel che mi riguarda, rimane il più controverso seppur senza dubbio il più atteso di quest’edizione. Adoro le girl band (non è una giustificazione ma una premessa) a dir la verità sono sincero quando vi dico che le quote rosa nella mia playlist sono senza ombra di dubbio superiore a quelle maschili ma non so dirvi per quale motivo non digerisca le Savages. Per quale motivo se dovessi scegliere un gruppo di pazze rockettare femministe virerei senza ombra di dubbio sulle Deap Valley o per quale motivo mi reputi un tipo da Hinds. è una questione d’impatto, di pelle, io non sopporto Jehnny Beth perchè mi ricorda il cantante dei Placebo, non mi piace la sua pettinatura e non mi piacciono i suoi acuti. Ma la mia opinione non conta un cazzo e sono costretto a ricredermi. La Savages sono un uragano, Jehnny Beth dal vivo è carismatica e assolutamente fuori di senno. Passa almeno un paio di canzone, “Hit Me”, e forse anche più a cantare sulla folla, ma non compiendo una normale stage diving, bensì sorretta dalla gente col microfono in mano come una specie di versione rock della Liberta che guida il popolo di Delacroix mettendo a dura prova non solo i nervi della security ma anche i bicipiti degli emozionatissimi fan che la sorreggevano. è L’impersonificazione vivente del girl power. Per attesa e riscontro del pubblico le Savages avrebbero senza dubbio meritato di chiudere questo Ypsigrock come headliner.
I Daughter hanno pubblicato un album a gennaio dopo tre anni di silenzio, l’opera di debutto “If You Leave” è stato un successo sia per il pubblico che per la critica, forse per questo motivo attorno a loro tour si è formato un grandissimo hype. Non hanno la carica della Savages ed a mio avviso infatti è errato tributargli il ruolo degli headliner, il film è già finito, i Daughter sono la ending song, la colonna sonora sui titoli di coda perfetta per questo Ypsigrock. La loro musica nasce in prima istanza attorno alla chitarra di Elena Tonra ed al suo disagio esistenziale ma definire i Daughter folk da cameretta sarebbe limitativo perchè il loro stile in grado di spaziare nei più disparati generi prendendo spunto da tanti compagni d’etichetta, dai frangenti più ipnotici dei The XX ai momenti più malinconici di ST Vincent. In poche parole, la musica giusta per farci stare ancora più male.
Ritorniamo al camping più tristi del solito ma piene di speranze, la speranza di riuscire a salutare tutta la gente incontrata in questi 4 giorni, la speranza che il tempo regga, sperare che la propria catapecchia di tenda non sia crollata, la speranza di strappare magari un ultimo bacio prima di partire, con la consapevolezza che finire la droga potrebbe non rivelarsi un espediente ludico ma una necessità .
Rimango sveglio tutta la notte , un po’ per paura di perdere la navetta, un po’ per godermi fino in fondo ogni istante di questo Ypsigrock, per poter prendere per l’ultima volta un cornetto al bar del camping. Alma è salpata qualche ora prima di me,doveva prendere il treno per Reggio, in Calabria, era impegna con la schiusa delle caretta caretta. Saluto Giuseppe, Valerio, Simona ed Altea davanti un chiosco di panelle che come al solito non vendeva acqua frizzante. Alessandro, il mio compare di Rockit, è arrivato da Trapani per prelevarmi a Palermo e darmi uno strappo fino all’aereoporto. Devo ancora ringraziarlo, dopo un after del genere non credo di esser stato di grande compagnia.
Una menzione speciale va ai ragazzi dello staff che sono la vera forza di questo festival e vi giuro che non lo sto dicendo per leccare il culo. Non è solamente questione di allestire e tirar avanti la baracca in qualsiasi condizione, la loro apertura verso la gente, il loro affetto la loro disponibilità sono qualcosa di radicalmente viscerale con la terra a cui appartengono. I ragazzi dello staff, ripeto, sono tutti castelbuenesi, se questa realtà è giunta alla sua ventesima edizione e,ancora di più, se è emersa in una regione difficile come la Sicilia dev’esserci un motivo. L’Ypsigrock continuerà a crescere, anno dopo anno, ma spero che questa crescita non finisca mai per snaturarlo, la conduzione familiare è la forza di questo festival ed proprio attraverso questa formula che l’Ypsigrock riesce a competere con i suoi più grandi cugini europei ma proprio grazie alla sua gente che da quest’ultimi riesce radicalmente a distinguersi. L’Ypsigrock non è un festival decentrato, ubicato in un’unica enorme location, è un festival vivo, insito nel paese che lo ospita e che grazie all’ospitalità e alla convivialità delle gente assume quasi i contorni di una sagra, la sagra siciliana della buona musica indie.
Il messaggio che vorrei darvi e che forse non sono ancora riuscito a passare è che la bontà di un festival non può e non deve essere legata esclusivamente alla sua proposta musicale, perchè potreste trovare festival con delle line-up fantastiche anche in Svizzera o in Germania ma sono sicuro che lì non lascereste un pezzettino di cuore. Ogni viaggio, ogni città , ogni paese, ogni concerto sono una storia a sè stante e probabilmente la loro piacevolezza è spesso determinata da contingenze a noi del tutto estranee, indeterminabili, ma è incredibile come la bellezza(nella declinazione più platonica di questo termine) circondi quest’angolo di Sicilia, ancor di più per tre o quattro giorni d’agosto. All’Ypsigrock degli altri festival non manca proprio nulla forse sono proprio gli altri festival che mancano dell’atmosfera dell’Ypisigrock.
L’Ypisigrock è andare in Sicilia e non sentire la mancanza del mare, vivere un’esperienza unica in una terra fantastica dove si mangiano delle pietanza deliziose e si incontrano delle ragazze bellissime potendo continuante godere di una riproduzione casuale in grado di scegliere la canzone più adatta ad ogni momento. Torno a casa, sull’aereo ho solamente voglia di ascoltare musica triste. Sono totalmente afono(ho cantato), i vestiti nella mia valigia puzzano (ho sudato), mi sento totalmente vuoto (si mi sono anche emozionato). Che si fottano il Primavera, lo Sziget (forse sto esagerando) ma che si fottano tutta quella serie di festival tristi, freddi, mega sponsorizzati, programmati a tavolino, io l’anno prossimo ho già deciso dove andare.
Ypsigrock 2016,grazie, forse, sei stato un po’ troppo bello.