è passato oramai un anno dal passaggio all’edizione 2015 del festival bolognese RoBOt di Powell: il producer inglese, tanto celebrato per la sua visione techno irriverente, non ci aveva convinti appieno, prestandosi sovente ad atteggiamenti e soluzioni che di cattivo avevano solo il gusto di avvicinarsi troppo all’EBM. “Sport” arriva dopo un’intensa attività , testimoniata da numerose uscite di breve formato, spesso sull’etichetta Diagonal, fondata e gestita insieme a Jaime Williams: per l’esordio vero e proprio Powell si affida però alla solita XL Recordings, oramai una major per l’appeal dei nomi che può vantare nel catalogo (e per la tempestività  con cui si getta sulle promesse più concrete).

Ma non si trova nel disco alcun ruffiano tentativo di accattivarsi il pubblico, anzi, seppur differente, troviamo forse il Powell più idiosincratico e personale, menefreghista e diretto: “Sport” declina un irresistibile funk virato punk, un groove ottuso spesso distorto dagli effetti di sintetizzatori rigorosamente analogici. Chiaramente ispirato alla no-wave, tanto nell’attitudine quanto nel suono, l’album muove dalle stesse coordinate di “From the Double Gone Chapel”, capolavoro degli ultimi Two Lone Swordsmen, per arrivare ai primissimi Golden Palominos: proprio l’esordio eponimo del supergruppo no-wave è infatti l’opera più vicina, se non esattamente nel sound, sicuramente nel concetto, a “Sport”, lo stesso gusto per il funk più spastico ed insistente, lo stesso mood irrispettoso ed iconoclasta.

Così ricco di idee ed originale, eppure contemporaneamente anacronistico e forzatamente punk, l’atteso debutto di Powell forse non rientrerà  tra i dischi migliori del 2016, ma si candida seriamente al titolo di opera più libera, più genuinamente freak.