Chiariamoci subito una cosa: in Italia concerti del genere capita di vederli ben poche volte nella vita. Gli Animal Collective e i Tv On The Radio hanno dato vita ad una performance di quelle che è difficile dimenticare, e la splendida cornice del Castello Estense è davvero l’ideale per sottolineare quanto siano importanti momenti del genere nella vita di un uomo (e/o di una donna). Han suonato prima gli Animal Collective e poi i Tv On The Radio (e comunque a parti invertite avremmo ottenuto esattamente il medesimo risultato), ma è stato come se il concerto fosse un unico flusso capace di rubarti il cervello per alcune ore, utilizzarlo per non meglio precisati scopi e restituirtelo praticamente intatto alla fine di tutto. E sia chiaro, io devo ancora riprendermi dallo shock emotivo. Certe cose ti segnano.

Due gruppi diversissimi, ma che a modo loro hanno fatto (e stanno facendo) la storia, o quanto meno sono riusciti a dire qualcosa di nuovo e soprattutto a dirlo a modo loro, aprendo nuove strade in quel calderone musicale che i critici musicali affermati chiamano ‘indie rock’. E poterli vedere suonare sullo stesso palco rappresenta una sorta di quadratura del cerchio, un tiriamo-le-somme-su-sullo-stato-attuale-dell’indie (ma anche sullo stato futuro). Come dire, vediamo il meglio così poi potremo giudicare con più serenità  quale è musica che vale veramente e quale invece è musica per hipsters in cerca di sensazioni forti.

Hanno aperto gli Animal Collective, ed è stata subito festa. Sul palco attualmente sono in tre ma sembrano trenta. Un unico magma sonoro dall’inizio alla fine, che non si capiva nemmeno dove finiva una canzone e dove iniziava la successiva (per la cronaca, la scaletta ovviamente ha privilegiato l’ultimo, superbo “Merriweather Post Pavilion”, ma c’è stato posto anche per altro che nemmeno avresti pensato di poter sentire in tutto il loro folle splendore dopo tanto tempo). Strati sonori che si sovrappongono, si intrecciano, mutano, cambiano pelle quando meno te lo aspetti dando vita a qualcosa che solo in apparenza è radicalmente diverso dal punto di partenza. Armonie vocali che sembrano essere solo abbozzi di idee ben più complesse eppure funzionano, eccome se funzionano. Musica che sembra suonata assolutamente a caso eppure ha una sua logica, improvvisazioni che hanno come unico filo conduttore la voglia di sperimentare, osare, andare oltre. Dicendo che nulla oggi suona come loro non si commette assolutamente un errore. Gli Animal Collective sembrano fuori di testa ma sono lucidissimi, sono una delle cose più pop che esistano pur essendo materiale molto ostico, ed a Ferrara han suonato per un’ora e mezza eppure avrebbero potuto suonare per altre tre ore e nessuno avrebbe avuto di che lamentarsi.

E poi, i Tv On The Radio. Questi tre, quattro, cinque, sei ragazzi newyorkesi (ormai non si capisce più nemmeno quanti siano, dal vivo sono accompagnati da un sassofonista che non si sa nemmeno se sia nella line-up in pianta stabile oppure sia lì di passaggio) che suonando una peculiarissima mistura in parti variabili di My Bloody Valentine, Prince, Peter Gabriel, soul, electro e oppioidi stanno nel loro piccolo conquistando il mondo sono scesi a Ferrara e non hanno fatto prigionieri. Un set perfetto, caldo ed avvolgente che, pur privilegiando l’ultimo “Dear Science”, è arrivato a riproporre vecchi classici come “Staring at The Sun” e semi-vecchi classici come “Wolf Like Me”. Mancava solo “Ambulance” per trasformare il set in un set definitivo, ma sarebbe stato chiedere troppo ad una serata di quelle che comunque le racconterai per molto tempo.
Alla fine di tutto tornare a casa non è mai stato così difficile. Chi non c’era non può capire.

Articolo di Federico “Accento Svedese”

Partiamo subito con le poche note dolenti di questo live-set: i Tv On The Radio, headliner della penultima serata del Ferrara Sotto Le Stelle 2009, hanno suonato per poco più di un’oretta e mezzo e della breve durata della loro esibizione ha inficiato soprattutto il secondo disco, quel “Return To Cookie Mountain” che ha messo in mostra il lato più rock, aggressivo e livoroso della band newyorchese.
Ritorniamo ora all’inizio invece: Piazza Castello è una delle location più suggestive d’Italia e la resa sonora è molto buona, senza echi o dispersioni eccessive. Io ed il compare arriviamo con calma, in perfetto orario per gli Animal Collective, trio anch’esso proveniente dalla Grande Mela e tra i più chiacchierati degli ultimi anni: purtroppo entrambi facciamo la figura dei pischelli sia per la pessima posizione che ci scegliamo sia per la scarsa conoscenza dell’acclamato gruppo.

Ben presto ci troviamo pressochè obbligati ad avvicinarci e a farci coinvolgere in maniera sempre maggiore dal coeso, stratificato e impalpabile wall of sound innalzato dai tre Animal Collective che passa attraverso ambient-noise purissimo, improvvise accelerate indie-rock, filastrocche improbabilmente orecchiabili alla Anticon e pesantissima elettronica da discoteche amplificate con scarti industriali. Quando, dopo un’ora e un quarto abbondante finisce il set ed il palco (compresa la personale scenografia composta da alcuni led e un pallone appeso in alto su cui venivano proiettate immagini in continuità  con suoni, ritmi e atmosfere) viene smontato e preparato per i TvOTR, ci ritroviamo come appena tornati da un’esperienza extracorporea: rintronati, poco lucidi ma molto emozionati. Nel post-concerto parte delle nostre mancanze conoscitive sono state ovviate al banchettino dei dischi.

Per fortuna, durante l’intervallo tra i due gruppi, molta della gente che già  riempiva la piazza è andata a bere qualcosa e noi abbiamo potuto avvicinarci ancora di più al palco, raggiungendo le prime file e godendo per il resto della serata di un’ottima visuale (l’unico elemento della band a rimanere un po’ scomodo ai nostri occhi era il genius ex machina Dave Sitek).
La partenza di Tunde Adebimpe, Kyp Malone e soci (tra cui il sassofonista, ormai sesto membro del gruppo, Stuart Bogie) è strafunk: “Golden Age” viene spogliata d’ogni orpello e accessorio da studio per restare nuda con tutta la sua adrenalina e la sua meravigliosa negritudine. Quando poi scattano una di seguito all’altra “Shout Me Out” (durante la quale Tunde non ha posato i piedi per terra per più di un secondo, saltellando come un invasato attorno alla propria postazioni con synth, microfoni, pedali e altre diavolerie) e “Province” allora il tuffo al cuore è enorme: se la prima è più veloce, grintosa, talmente carica da essere quasi punk rispetto alla versione da disco, la seconda è resa con tutta la sua dote di glamour.

La speranza di un concerto così eclettico nelle scelte all’interno della produzione dei nostri viene presto smentita e scorrono quasi tutti i pezzi dell’ultimo, ottimo, divertentissimo “Dear Science”: a fare la figura del mattatore è sicuramente Tunde, ma anche Kyp Malone (che si alterna disinvolto tra chitarra, basso e le molte parti in cui canta) riesce a stregare il pubblico pur restando sempre piuttosto misurato; meritano la menzione d’onore il batterista Jaleel Bunton, instancabile macchina da ritmo, e il già  citato Stuart Bogie che col proprio sax ha sbalordito non poco gli spettatori. Meno appariscenti sono apparsi Sitek, del quale però è sempre stata chiara e perfetta la presenza sonica, e il polistrumentista Gerard Smith.

Com’è ovvio dopo un’ora i TvOTR si sono presi una piccola pausa per tornare incitati dalle grida euforiche della piazza totalmente gremita di gente: si riparte con una psichedelica, intensamente soul e dilatata “Family Tree” e segue l’inno “Staring At The Sun” per la felicità  e il trasporto della folla presente.
Quando nuovamente il set s’interrompe, capiamo che questa volta non torneranno: però sappiamo con certezza di aver appena assistito al futuro del funk (o perlomeno di qualcosa che gli somiglia molto).
Questo report è dedicato a Micc che, avendo troppo nulla da fare, non ha potuto accompagnarci.

Articolo di Nicolò “Ghemison” Arpinati

Foto thanx to Salvatore Verrazzo e boldray

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