Mancavano dalla scena live da circa tre anni. Il ritorno dei White Lies non poteva che essere celebrato con una data nel cuore di Londra, giusto all’inizio del nuovo tour. La O2 di Sheperd’s Bush presenta il tutto esaurito, per il ritorno sul palco della celebre band londinese ed è per me occasione più unica che rara di vedere da vicino ““ è proprio il caso di dirlo ““ una delle formazioni-culto del recente passato in terra d’Albione. “Friends” (recensito qui) non mi ha entusiasmato e, devo ammetterlo, era forte la curiosità di vedere all’opera dal vivo la band capitanata da frontman Harry McVeigh.
Dopo i tiepidi The Ramona Flowers (di Bristol), arriva presto il momento del trio di Ealing. L’avvio è leggermente in sordina, con “Take It Out On Me” che è anche opening track dell’ultimo LP, il quarto in carriera. “Siamo stati via per un po’ e tre anni è un periodo abbastanza lungo per una band, – dice McVeigh alla prima pausa ““ poi noi qui siamo di casa, magari ci rivedremo sullo stesso bus per tornare a casa dopo il concerto, tanto viviamo a una ventina di minuti, qui dietro”.
Una volta rotto il ghiaccio, White Lies iniziano allora a infilare le perle di sempre in una collana che accoglie ““ gioco forza ““ anche la maggior parte dell’ultima produzione in studio. E c’è poco da fare, ho l’impressione piuttosto netta che il pubblico vada davvero in estasi solo quando la voce di Harry si slega fino in fondo, senza timore di mettere a nudo quell’innata timidezza che lo ha sempre contraddistinto. “There Goes Our Love Again” e “To Lose My Life” portano nell’aria quei retaggi di un post-punk che aveva rappresentato il marchio di fabbrica del trio a inizio carriera; un suono sfociato poi in un più orecchiabile e radiofonico pop/rock che ha fatto storcere il naso ai più.
Passata la sbornia iniziale, il set si incanala su binari meno movimentati, in cui le nuove hits (“Morning in LA”, “Is My Love Enough”) si prendono la scena, mentre McVeigh prova a coinvolgere il proprio pubblico. Il suono di White Lies è chiaramente marchiato di quelle reminiscenze che contraddistinsero Joy Division ed Echo and The Bunnymen. E’ allora la parte finale del set che rappresenta il fiore all’occhiello della serata, con pezzi quali “A Place To Hide”, “E.S.T.”, “Streetlights” decisivi ad accendere la miccia finale e a scatenare anche qualche disordinato mosh-pit sotto al palco. O2 Sheperd’s Bush Empire ora ribolle di passione e “Death” chiude virtualmente, prima di un ritorno sul palco della band per i meritati applause e la cavalcata finale. Il sipario cala sui quasi cinque minuti di “Bigger Than Us”, con cui White Lies si congedano e affermano: “Speriamo di vederci ancora, molto presto!”.
Torno verso casa con la testa piena di pensieri.
Mi interrogo sulla solidità di una band dalle indubbie qualità , che con quest’ultimo “Friends” ha preso una direzione diversa da quella prospettata: meno chitarre e più synth, produzione raffinata preferita a un pizzico di spontaneità . White Lies però, siamo onesti, non hanno perso lo smalto e la capacità di trascinare le folle, che con i pezzi storici della prima fase di produzione è sempre lì, pronta a saltare. La O2 di Sheperd’s Bush me ne ha dato conferma, una volta in più.
Setlist: Take It Out on Me, There Goes Our Love Again, To Lose My Life, Hold Back Your Love, Unfinished Business, The Price of Love, Farewell to the Fairground, Morning in LA, Is My Love Enough, E.S.T., Getting Even, Streetlights, A Place to Hide, Don’t Want to Feel It All, Death. Encore: Big TV, Come On, Bigger Than Us.
Photo: Drew de F Fawkes / CC BY