C’è chi dice che nell’orizzonte cantautoriale contemporaneo non esistono più i poeti di una volta. Ma che vuol dire di una volta? Non esiste neanche più il mondo di una volta, le cose cambiano. Non sempre in meglio, ahinoi, ma possiamo tirare un sospiro di sollievo quando capita di avere la prova che oltre ai fenomeni da baraccone c’è di più, cosa che accade più facilmente quando si prende il coraggio di andare oltre le proprie aspettative.
Oggi esistono i poeti di oggi e nella specialità musica italiana indipendente c’è Umberto Maria Giardini, musicista marchigiano di ormai consolidata carriera. Per alcuni sarà forse più facilmente riconoscibile con lo pseudonimo Moltheni, abbandonato circa sei anni fa dopo un decennio di prolifica attività .
Lo scorso 3 febbraio è uscito il suo terzo album, intitolato “Futuro Proximo”. è un disco che nonostante l’indole poco compiacente, invoglia da subito a un nuovo ascolto e poi altri ancora, a propagazione continua. Un disco fatto per sostarci dentro, ascoltare, riflettere, restare nella musica e tornare sui testi. La voce di Giardini tira graffi ma sa essere anche molto accogliente. Le lunghe carrellate prog e l’uso minaccioso del moog trascinano in una dimensione sospesa tendente al rovinoso ma che invece, alla fine, non cede al pessimismo: già si vede chiara la luce in fondo al tunnel. Sembra di trovarsi in una cosmogonia del domani che sta nascendo dalle ceneri di oggi.
Paradossalmente, in un album che parla di vie smarrite e storture della realtà in cui viviamo, ci sono momenti di senso compiutissimo, in cui godersi un equilibrio di parole e suoni che non lascia spazio a banalià e forzature. Sono davvero bei congegni queste canzoni, dall’inizio alla fine, dalla prima all’ultima, con trovate particolarmente riuscite come il sax di “Ieri nel futuro proximo”, le aperture di “Il vento e il cigno” e il rigore di “Avanguardia”.