Henry (Eric Bana) è il marito della splendida Clare (Rachel McAdams) ed il loro rapporto sarebbe idilliaco se non fosse duramente condizionato a causa di un difetto genetico particolare di Henry che lo fa viaggiare continuamente nel tempo, sia avanti che indietro, senza controllo nè preavviso. Nonostante questo insolito particolare, i due cercheranno di costruirsi una vita insieme, cercando di abbattere le barriere dello spazio e del tempo.
Tratta dal best seller “La Moglie Dell’Uomo Che Viaggia Nel Tempo” di Audrey Niffenger e sceneggiato per il grande schermo da Bruce Joel Rubin, già premio Oscar per Ghost, la pellicola – come al solito dal titolo orribilmente deturpato dalla traduzione italiana – si presenta come un film romantico di fantascienza, genere affascinante e impervio, abbondantemente saccheggiato da Hollywood.
Il regista tedesco Robert Schwentke, dopo l’infelice esordio con il thriller Flightplane, ci riprova con questo ambizioso quanto improbabile lungometraggio, cercando di coniugare l’iperdosaggio emotivo sciorinato nella storia d’amore con i continui slittamenti spazio-temporali del protagonista, e riuscendoci solo in parte: infatti, non riesce a gestire in maniera efficace e verosimile il ritmo narrativo, sorretto da una regia confusa e pretenziosa, di stampo televisivo.
Lo script, incomprensibile oltrechè inverosimile, punta tutto sul feeling dei due protagonisti, che reggono efficacemente il gioco scenico: sia la bellissima quanto talentuosa Rachel McAdams (che vedremo nel prossimo “Sherlock Holmes” di Guy Ritchie) che il corpulento Eric Bana, (“Hulk”/”Munich”) risultano una coppia convincente e ben assortita.
La miscela del melodramma con derive esoteriche coinvolgerà certamente il pubblico dalla lacrima facile, nonostante pasticci con i paradossi delle fantascienza: finisce per focalizzarsi sulla tematica relazionale che conduce gradualmente lo spettatore verso il commovente (e scontato) epilogo di un amore che non ha tempo.