Gli Horrors sono tipi che sanno il fatto loro. Certo, se cerchi storie tipo Darby Crash quelle non le fanno neanche per il cash, ma al Bronson di Ravenna hanno dimostrato che dietro l’hype, le copertine su NME, il look studiato e le storie da dopoconcerto c’è di più, molto di più.
C’è una band che è riuscita a rendere dal vivo in maniera assolutamente convincente un disco clamoroso come “Primary Colours” (e con quei suoni non era facile riuscirci, davvero), c’è una band che quando si è trattato di tirare fuori dal cilindro il materiale del primo disco lo ha fatto ed ha suonato con una foga ed un’urgenza da qui ed ora (e nessuno se lo sarebbe mai aspettato, davvero), c’è una band che ci crede ed ha le palle per dare risposte adeguate ai (tanti, troppi) detrattori. Punto e basta.
In poche parole, a Ravenna gli Horrors nel loro piccolo hanno appiccato un incendio che è durato poco più di un’ora. Una prima parte interamente basata sulle atmosfere shoegazing di Primary Colours per ciondolare la testa tutti insieme (“Scarlet Fields” dal vivo è roba da far tremare le vene ai polsi) e come bis le botte da orbi dei supersingoli da “Strange House” (su tutti una tiratissima “Count In Five”), con in sovrappiù una ancestrale cover di “Ghostrider” dei Suicide tanto per ricordarci da dove veniamo e cosa siamo. E dopo uno spettacolo del genere esci dal locale soddisfatto e consapevole di aver visto qualcosa di grande, ed altro non puoi fare che mendicare un bombolone caldo – uno di quelli che il fornaio dietro al Bronson sta cucinando con tanta cura & amore ““ da mangiare prima di affrontare il viaggio di ritorno. Non siamo di ferro noi, e credo che non siano di ferro nemmeno gli Horrors.
In definitiva, è punk o è la solita roba che ricicla il meglio di musiche del passato per farne qualcosa da vendere ad un pubblico pronto a bersi qualunque cosa pur di essere alla moda? Arriveranno lontano o spariranno nel nulla? Non è dato sapersi, però ciò che è certo è che gli Horrors hanno attitudine, suonano alla grande e sul palco danno tutto. Hanno grande presenza scenica, grandi canzoni, un pubblico che gradisce e soprattutto un pubblico fatto non solo di modaioli come agli inizi ma anche di gente attenta che ne sa ““ segno che piano piano stanno riuscendo a convincerci di non essere solo un fenomeno passeggero.
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