Tradizione, ricerca, innovazione. Sognante, folgorante, spiazzante. Flauto, Sax contralto, clarinetto basso. In una parola: Eric Dolphy. Musicista strordinario ed innovativo, con i piedi ben saldi nella tradizione jazzistica post-Be bop, ma in continua ed incessante smania di forzarne i limiti tecnici, timbrici ed armonici, Dolphy è stato un genio assoluto, dotato di una dedizione alla musica ed un senso dell’armonia pressocchè unici nella storia della musica afro americana.
Uno e trino come gli strumenti di cui è stato mirabile maestro, il sax contralto, strumento consegnato alla gloria dall’immenso Charlie Parker, di cui il musicista californiano ricalca le gesta, suonando dapprima come un disciplinato erede, poi come un figlio rinnegato; il flauto traverso, strumento dolce come l’ambrosia e dal suono celestiale e sfuggente, proveniente dai Campi Elisi, in mano sua un rivolo di note incandescenti, che saltano dentro e fuori il pentagramma, propaggine estrema della musica d’avanguardia e tentativo di imitazione del canto degli uccelli. Infine, il Clarinetto basso, srumento usato rarissimamente nel jazz, con cui Dolphy supera se stesso e sfida l’intero mondo jazzistico, ancora a bocca aperta di fronte a cotanta padronanza tecnica e timbrica, nonchè all’impressionante gamma di linguaggi del tutto nuovi e soluzioni aperte che era capace di creare ed infondere, ogni volta che lo imbracciava. L’immenso capolavoro che è “Out to Lunch!” è felice sintesi di tutto ciò.
Registrato il 25 Febbraio del 1964, è di fatto l’ultimo approdo (Dolphy ci lascerà , ahimè, pochi mesi dopo, stroncato da un diabete non diagnosticato) del grande jazzista californiano, felice terra di nessuno tra bop, avanguardia, free-jazz e ricerca: un campionario di follie atonali, tenui ballate ed asperità boppistiche, che sembrano i deliri del cappellaio matto alle prese con un enigma impossibile da decrifrare, come dimostrano chiaramente le sette lancette che spuntano da ogni dove nel quadrante dell’orologio della splendida copertina. Il viaggio folle inizia con “Hat and Beard”, una marcetta espressionista, un camembert molle di Daliniana memoria, che sembra cristallizzarsi nel tempo e nello spazio in un andamento ondivago, bizzarro, disegnato dalla batteria di Tony Williams, il contrabbasso di Richard Davis ed il Vibrafono di Bobby Hutcherson, che fungono da tappeto sonoro alle scorribande del leader ed il canto strozzato ed inquietante del suo clarone, che produce microcellule impazzite, scale ascendenti, piccoli centri tonali che sembrano mettere in discussione in ogni momento la composizione e lo spazio circostante. In particolar modo il vibrafono, funge allo stesso tempo da ponte per le improvvisazioni solistiche e collettive di Dolphy ed i suoi sodali, talvolta creando significativi vuoti, quasi un’ attesa messianica che si tramuta in precipitosi balzi nell’ignoto, in avventure sonore diverse e sempre nuove.
“Something Sweet, Something Tender” è l’unica ballata del disco, introdotta dal contrabbasso suonato con l’archetto e dalle note celestiali del vibrafono a coadiuvare ancora una volta il clarone impazzito del leader. Ma le sorprese non finiscono qui: se “Gazzelloni”, mirabile composizione astratta dedicata al grande musicista italiano, Severino Gazzelloni soprannominato “il flauto d’oro”, stupisce per l’assoluta padronanza di Dolphy del flauto traverso, che tra le sue dita si apre a mille possibilità , dialogando con la tromba del grandissimo Freddie Hubbard, che pungola il leader e suggerisce spunti ed idee sempre nuove, interrogandosi di continuo sul percorso da seguire, sono la title track e la furiosa “Straight Up and Down” l’apice di questo disco unico ed ineguagliato. Qui Dolphy lascia la parola al suo sax contralto e si resta abbagliati di fronte al coacevro di idee, esperienze e linguaggi che il jazzista espone con assoluta disinvoltura e facilità estrema nel corso di venti minuti complessivi, anticipando di fatto i salti nel vuoto dei musicisti chicaoghiani dell’AACM come Braxton e Roscoe Mitchell, nonchè le coraggiose escursioni atonali del geniale sassofonista newyorchese Albert Ayler.
Dopo trentacinque anni suonati, “Out to Lunch!” continua ad ammaliare e stupire, lasciando allo stesso tempo un senso di frustrazione e rammarico nei confronti dello sfortunato musicista autore di questo ineguagliato affresco sonoro, che non è riuscito ad ottenere in vita il successo e la visibilità tanto agognate, perchè segnato da un destino beffardo e maligno allo stesso tempo. Ma come si sa, la musica è immortale, così come il suo autore. So Long, Eric.
Eric Dolphy – “Out To Lunch!”
Pubblicazione: 25 febbraio 1964
Etichetta: Blue Note
Durata: 42:31
Produttore: Albert Lion
Tracklist:
1. Hat and Beard
2. Something Sweet, Something Tender
3. Gazzelloni
4. Out to Lunch
5. Straight Up and Down