Se “Stranger Things” è diventata una delle serie tv più seguite e amate degli ultimi anni una parte del merito è da attribuire senza ombra di dubbio agli autori della sua colonna sonora, Kyle Dixon e Michael Stein. Già membri del quartetto synthwave S U R V I V E, i due musicisti texani hanno compreso e interpretato al meglio l’affascinante mondo sci-fi concepito dai gemelli Matt e Ross Duffer; un lavoro di grande livello che pochi mesi fa gli è valso addirittura un Emmy. Immagini e suoni si incastrano alla perfezione in questa grande sagra della cultura pop anni Ottanta, cui va il merito di aver introdotto un pubblico nuovo, giovane e non avvezzo al “nerdismo” al magnifico universo della fantascienza di qualità . Laddove i fratelli Duffer strizzano l’occhio a Steven Spielberg, John Hughes, Stephen King, Dungeons & Dragons e “I Goonies”, Dixon e Stein non fanno nulla per nascondere il loro enorme rispetto per i maestri “cinematografici” dell’elettronica e dell’ambient rètro.
Le musiche che accompagnano gli episodi della seconda stagione del successo a marchio Netflix non si differenziano troppo da quelle della precedente. Non mancano temi noti – “Home” e “Levitation” richiamano più o meno esplicitamente quello di “Kids” ““ e i consueti piccoli omaggi a Jean-Michel Jarre, John Carpenter, Vangelis, Tangerine Dream e persino ai nostrani Goblin per quanto riguarda i passaggi più oscuri e inquietanti. A questi va il compito di immergere lo spettatore nella dimensione parallela del Sottosopra, casa dei mostruosi Demogorgone e Mind Flayer (“Descent Into The Rift”, “Digging”, “It’s A Trap” e “The Hub” su tutti). Buona parte della colonna sonora è però costituita da brani ambient più tranquilli e sognanti, sospesi nelle atmosfere leggere e dilatate tanto care a Brian Eno (“Eulogy”, “She Wants Me To Find Her”, “Shouldn’t Have Lied”) e al David Bowie berlinese (“On The Bus” recupera i Minimoog e Chamberlin impiegati per la strumentale “Art Decade”, dall’album “Low” del 1977).
Le mani di Kyle Dixon e Michael Stein si muovono sui tasti e sulle manopole dei sintetizzatori analogici con la maestria e l’esperienza di navigati direttori d’orchestra. Una sicurezza che permette loro di dare il massimo anche quando cercano di uscire dalla stretta cornice vintage imposta dalla serie televisiva per avvicinarsi ai giorni nostri, citando qua e là il ritmato dream (synth)pop ricco di arpeggiatori e sequencer degli M83 (“Soldiers”, “The Return”, “The First Lie”) e il minimalismo dark dei premi Oscar Trent Reznor e Atticus Ross (“Connect The Dots”). Tra tanti spunti e prestiti c’è spazio per gli inediti esperimenti dance alla Giorgio Moroder “Escape” e “We Go Out Tonight”, le due tracce più movimentate dell’album che non stonerebbero come sottofondo di un film diretto da Nicolas Winding Refn, il regista di “Pusher”, “Drive” e “The Neon Demon”.
Restando fedele al citazionismo sfrenato ma ben calibrato di “Stranger Things”, la colonna sonora firmata dal duo di Austin fa il suo dovere e perfeziona formula e approccio adottati per le musiche della prima stagione datata 2016. Tuttavia l’effetto sorpresa è ormai superato e la mancanza di guizzi creativi degni di nota rende l’ascolto di questo lavoro non molto interessante se separato dalle scene della serie Netflix che accompagna. Un consiglio: se volete avvicinarvi all’habitat naturale di Dixon e Stein, recuperate l’eccellente “RR7349” dei S U R V I V E.