“Eppure erano dei capitalisti che lavoravano duro.”
(Maldwyn A. Jones ““ Storia degli Stati Uniti d’America)
Non appena ha trovato il suo primo giacimento di petrolio, il modesto minatore Daniel Plainview si avvicina al figlio con la mano sporca di petrolio e unge la sua fronte in una sorta di battesimo pagano. Il petroliere, inspiegabile titolo italiano di “There Will Be Blood” di Paul Thomas Anderson, è un grande film sulla nascita di una nazione, aperto e chiuso da due date simboliche: il 1898, anno della definitiva conquista del West, e il 1927, anno immediatamente precedente al crollo di Wall Street e alla Grande Depressione. In pratica, riassume tutta la nascita del capitalismo americano come prosopettiva di facile arricchimento, alla porta di tutti.
Daniel Plainview si inserisce nella tradizione dei grandi magnati cantati dal cinema e dalla letteratura, ma il suo personaggio è molto lontano da quelli di Jay Gatsby e di Charles Foster Kane, i primi che vengono in mente se si pensa al suo destino e al suo declino, alla testardaggine con cui insegue il sogno americano: lontano dall’essere un dandy e un bon vivant, Plainview è un avido speculatore, un impavido intrallazzatore che fonde in sè l’anima del capitalista e quella del pioniere. There Will Be Blood è infatti un film pieno della suggestione della frontiera: dall’immenso spazio del deserto e della prateria americani, splendidamente fotografati nei campi lunghi da Robert Elswit con una luce quasi bruciata, al riferimento alla ferrovia che porta civiltà in lande desolate, segnando il progresso.
Plainview vive nella terra, in un contatto fisico con l’oro nero con il quale spesso si trova a doversi bagnare, come nel bellissimo inizio in cui si cala da solo in un pozzo, alla ricerca dell’argento, e si trascina con una gamba rotta attraverso sabbia e cespugli, con la testardaggine tipica di chi ammette di sentire la competizione come unico stimolo.
Paul Thomas Anderson è un regista/sceneggiatore che sa scrivere grandi storie possenti, affidandosi soprattutto alle divisioni archetipiche, che infatti in “There Will Be Blood” abbondano: la fede e il denaro, il padre e il figlio. Perchè Plainview non battezzerà solo il bambino che gli viene dietro (l’omaggio a Il monello di Chaplin è più che una citazione, che verrà svelata solo nel finale), ma pieno di hybris come ogni eroe tragico, cercherà di annegare nel petrolio un giovane predicatore visionario, negandogli la benedizione del suo pozzo. Per lui Dio non è molto diverso dalla Standard Oil, è solo un’altra sfida, un altro totem da abbattere nella rincorsa all’individualismo. La sua solitudine finale, l’unico momento in cui Anderson concede giustamente a Daniel Day-Lewis la scena, affidandosi ad una recitazione davvero oltre le righe, è scritta sin dalla prima inquadratura, segnando l’inevitabile parabola del primo capitalismo: il suo cuore si inaridisce progressivamente, così come la feconda terra dell’America, resa sterile dalle sue trivelle. Sequenze come quella dell’esplosione del petrolio a Little Boston, ripresa da tre punti di vista simbolicamente diversi (quella del padre, quella del figlio e quella del predicatore/spirito santo) potrebbero valere il premio Oscar (Daniel Day-Lewis ha già vinto un sacrosanto Golden Globe).