Le cose sono due: o i ragazzi di oggi sono tutti come Tom Hansen di “(500) giorni insieme” (o Seth Cohen per i nati nei Novanta, Dustin Henderson o Clay Jensen per i Duemila), innamorati persi con il cuore spezzato, o si sono concentrati tutti tra i cantanti indie-itpop.
Tutta una serie di amori platonici, cotte adolescenziali, prendi-lascia continui, sono pazzo di te, sei il mio errore più bello. Empatia a livelli altissimi, tutti provano le stesse emozioni e tutti hanno necessità di cantarle allo stesso modo.
Paletti non si discosta troppo dai vari Canova, Galeffi, Ex-Otago, Thegiornalisti, Gazzelle e compagnia (itpop) bella, anche se una sua identità ce l’ha.
In questo calderone dove ogni mese esce un gruppo o cantante nuovo che tenta di scalare le playlist di Spotify, Paletti è al quarto album.
Basi elettroniche e dance prima di Cosmo; amori spezzati prima che diventasse di moda, electro pop prima dell’avvento del mac nella scrivania di ogni ragazzo.
Se “Qui e Ora” del 2015 era avanti con i tempi, ironico quanto basta e legato alla tradizione italiana, “Super” cammina a braccetto con la moda attuale, senza distanziarsi più di tanto se non per la qualità indiscutibile che lo fa emergere su altri e l’esperienza data dalle produzioni precedenti. Pietro Paletti sa come costruire brani ammiccanti, orecchiabili (“Più su”) e decisamente sing-along (“La notte è giovane”).
Su undici canzoni, però, 8 parlano d’amore, di gelosie, triangoli e insicurezze. Una percentuale alta e, nel bene o nel male, perfettamente in linea con i tempi.
Il crocevia dei 30 anni, ormai superato abbondantemente, ha lasciato tracce sulla sua scrittura: questi amori che non maturano, la voglia di rimanere sul divano e uscire il meno possibile, le insicurezze (“Capelli Blu”), figli (“Eneide”) e una sana critica per questi amori ai tempi dei social con “Chat ti amo”. C’è qualche rifacimento al passato, come per l’intro di chitarra in “Pazzo” che somiglia a “Il tempo di morire” di Battisti e ottimi spunti melodici degni della tradizione italiana.
Paletti ha la stessa visione di gioco di Sócrates (in copertina dell’album): ha chiari i meccanismi di gioco dell’indie-itpop e li ha schierati in 11, come a calcio.
“Super” merita sicuramente più di un ascolto, resta il fatto che Paletti meritava di più sin da prima. Entrando in un campionato già iniziato è difficile rimontare, a maggior ragione quando gli schemi diventano prevedibili e il modulo ricalca quello degli altri partecipanti. Alla Fiorentina ancora ricordano l’allergia agli allenamenti, alla fatica e ai ritiri del “Dottore” Sócrates; bastava la classe per tirare avanti.
La legge del minor sforzo in parte ha funzionato, ma uscire definitivamente dalla zona comfort adolescenziale serve. Sia a chi canta che a chi ascolta.