“Il tempo passa, e meno male, la vita scorre, e meno male, la musica invece resta lì dove l’hai pensata o immaginata e si scontra nello specchio di chi l’ascolta. E la fa sua, che tu lo voglia o meno, contro tutte le paternità  e le maternità  esclusive di questo mondo sempre più in equilibrio tra il benissimo ed il malissimo”, con queste parole Andrea Appino anticipa sui social l’uscita de Il Fuoco in una Stanza, nono album in studio per The Zen Circus. Un album scritto d’impeto, figlio di un’ ispirazione immediata, che arriva a due anni da “La Terza Guerra Mondiale”, divenuto a tutti gli effetti un disco generazionale.

Gli Zen Circus sono così, le loro canzoni le fai subito tue, fai tua ogni parola già  dal primo ascolto e il tuo mondo interiore si sente in qualche modo rappresentato. Musicalmente, “Il fuoco in una stanza”, riparte dal percorso alternative rock votato alle chitarre elettriche, verso una scelta stilistica di matrice più pop-rock, che abbraccia i temi cari alla band come il rapporto con la famiglia, la collettività , il mondo e con sè stessi. Anticipato dalla ballad rock “Catene” e dalla frase manifesto “d’amore non si muore muori senza dare amore”, l’album segna a tutti gli effetti il passaggio dal precedente lavoro a quello attuale, una sorta di ponte autobiografico con “L’anima non conta” dove la tematica familiare si sente in modo forte e viene raccontata in modo crudo e intimo. Ponte che si fa più solido con “Emily no”, sorella minore di quella “Ilenia” che era “un po’ bestia e un po’ un danno e che voleva vivere nuda”, mentre Emily no, lei non vuole essere speciale, vuole solo godere.

I testi di Appino sono spesso il risultato di un ardore compositivo che non crea delle semplici canzoni, ma dei piccoli gioielli, delle poesie. L’aggiunta dell’orchestra mira a creare un sound diverso e più ispirato come ne “Il mondo come lo vorrei” o nella nostalgica “Questa non è una canzone”, in cui è presente un fraseggio pianoforte-archi, dov’è tangibile la maturità  oramai consolidata degli Zen. In “Caro Luca”, brano dal testo malinconico che ricorda i classici degli anni ’70, Appino sembra parlare a sè stesso come ad uno specchio, mentre in realtà  canta dell’amico ormai perso: “‘Io i ragazzi li vedo ancora,ma cosa conta vedersi giusto per fare una cena e chiedersi ma Luca alla fine lo hai più visto’. In questo album ci trova dunque davanti a canzoni in cui gli Zen non hanno paura di usare la melodia o di esplorare territori più vicini al pop, anche perchè si fa presto a invertire la rotta dando il via a una cassa-rullante come in “Low Cost”, pezzo combat-folk dal ritornello ispirato e da una rabbia camuffata abilmente dalle liriche appiniane e dalla sua giacca: “la giaccache mi portoaddosso non è la pelle di un animale, ma di un amicoperso”. Anche il brano che dà  il titolo all’album, “Il fuoco in una stanza” è una ballad pop rock in cui le parole, un pugno allo stomaco, sono addolcite dalla presenza di violini.

Nel complesso, l’ultimo progetto degli Zen Circus è un’opera che mette il sigillo al completamento di un percorso fatto di nove tappe e che li annovera tra le band più importanti del panorama italiano degli ultimi trent’anni: “C’è – per citare un anima a me amica – tutta la fine dei miei trent’anni, ci sono gli Zen uniti come mai, c’è la voglia di dedicare la verità  e niente di meno della verità  a chi ci ha regalatouna vita, se non migliore, dolcissima. Non so se ci sonoriuscito – almeno per voi – ma so cosa siamo riusciti a fare per noi: regalarci ancora un po’ di verità , l’unica verità  che conosciamo, quella di un petto sul tavolo operatorio della vita, in un’ operazione a cielo aperto.” (Andrea Appino)

“Il fuoco in una stanza” è un disco che arde e brucia, illuminando di passione la stanza di chi lo ascolta.