25 anni fa uscì l’attesissimo seguito di “Mellon Collie and the Infinite Sadness”, l’album che dopo le ottime promesse di “Gish” e soprattutto “Siamese Dream” ““ per molti il migliore del lotto ““ aveva fatto deflagrare in tutto il mondo il successo degli Smashing Pumpkins di Billy Corgan, James Iha, D’Arcy e Jimmy Chamberlin.
Normale che di attesa, e trepidante, si trattasse, perchè i 4 di Chicago avevano saputo issarsi in cima alle classifiche, smarcandosi da ogni etichetta, attingendo a piene mani alle radici del rock. Nel farlo, attraversarono tutte le sue fasi, sfiorando saggiamente il grunge quando era il momento opportuno, ma poi spiazzando critica e pubblico con un repertorio davvero originale, vario, estremo sia nelle sue espressioni più dirette, rabbiose e nervose che in quelle più dolci, malinconiche e struggenti.
Sull’onda dell’entusiasmo e di un tour infinito che li aveva visti autentici protagonisti della stagione “’96/’97, quando ottennero prestigiosi riconoscimenti, tra cui un American Music Awards come miglior gruppo alternativo, un Grammy per la miglior performance Rock con il brano manifesto “Bullet With Butterfly Wings” e ben 6 Mtv Video Music Awards, si trovarono a registrare i pezzi che avrebbero costituito il “dopo- Mellon Collie…”.
Non tutto però filava liscio e come accade spesso nei momenti di massima esposizione e popolarità , si intravidero le prime crepe anche in seno al gruppo, a partire dal malcontento crescente e dalla fatica psicologica del leader Corgan a tenere unito quello che per molti addetti ai lavori era in fondo il suo “giocattolo”. Nel mezzo del tour morì per overdose il tastierista aggiunto Jonathan Melvoin e come conseguenza, anche se non in modo diretto, si sfilacciò sempre più anche il rapporto con lo storico batterista Jimmy Chamberlin, anch’egli in preda agli effetti della droga al momento del tragico evento e sempre più inaffidabile a causa della sua conclamata dipendenza da eroina.
Venendo a mancare il motore della band, qualcosa doveva per forza cambiare nel sound ma anche nell’attitudine della band e pertanto i brani nuovi, elaborati e registrati con una drum machine, avevano delle sembianze necessariamente diverse. Non solo forma ma anche sostanza, visto che a cambiare furono soprattutto gli umori generali, con tante canzoni che riflettevano una volta di più i tormenti e le angosce di Billy Corgan, acuiti ulteriormente dalla recente perdita dell’amata madre.
Quello che faticosamente si stava per presagire era una vera rivoluzione nella musica dei Pumpkins, tra l’altro ben definita e reclamizzata dallo stesso Corgan durante le prime interviste in merito all’album nuovo.
Meno chitarre e molta più elettronica, meno Sabbath e più Cure, meno hard rock e psichedelia, più elettronica e atmosfere dark, cupe, gotiche.
Quando uscì il singolo anticipatore “Ava Adore” in effetti ci fu un po’ di straniamento, nonostante il brano fosse indubbiamente accattivante con la sua aurea misteriosa. Ok, musica con tastiere e batteria elettronica ma anche un buon tiro e il piglio rock, tra il decadente e il minaccioso.
Molte canzoni del nuovo disco furono presentate in anteprima in occasione di un tour che fece tappa anche in Italia, nello splendido scenario del Porto Antico di Genova il 16 Maggio. Anche il sottoscritto ebbe la fortuna di assistere a quello show davvero particolare dove era evidente lo sforzo di Billy Corgan e soci di dimostrare che stavano intraprendendo una nuova via artistica.
Che si virasse su toni crepuscolari, cupi ma intrisi di fascino, lo si poteva intuire anche dalla splendida copertina che metteva in primo piano una Amy Wesson un po’ diafana, un po’ fata (o strega) dei ghiacci.
Alla fine furono comunque tre i batteristi a registrare le parti in cui fossero previsti dei suoni veri (Matt Cameron ex Soundgarden e che da poco era confluito nei Pearl Jam stette dietro i tamburi nella traccia più toccante, “For Martha”) e a mixare il tutto fu convocato Flood, sorta di Re Mida del suono del rock alternativo al periodo.
Si è fatto riferimento alle atmosfere decisamente diverse dei nuovi brani, anche se è giusto ricordare come i Pumpkins siano stati da subito dei maestri nel gioco del “piano/forte”, sapendo miscelare egregiamente suoni spigolosi e morbidi, accorate ballate e inni rock.
Eppure una canzone dai toni soffusi e delicati come la “To Sheila” che apre “Adore” non l’avevamo mai sentita da loro e, ad ascoltare bene, anche canzoni dall’alto tasso melodico come “Once Upon A Time” o “The Tale of Dusty & Pistol Pete” ti lasciano addosso un senso di tristezza. E’ proprio l’intonazione bassa di Corgan a definire “tristi” brani come “Daphne Descends” o “Behold! The Night Mare”, che con un altro arrangiamento sembrerebbero rimarcare in realtà tutti gli stilemi degli Smashing Pumpkins con i loro ritornelli intensi e carichi di pathos.
Sotto stilettate di effetti e feedback elettronici e campionamenti, certe qualità hanno corso il rischio di rimanere schiacciate o per lo meno nascoste, come ad esempio in una “Pug” dal finale pirotecnico o in una “Appels + Oranjes” che dal vivo assumeva delle vivacissime vesti guitar pop.
Ma ascolto dopo ascolto invece erano tutte canzoni in grado di entrarti sotto pelle, convincendoti che l’azzardo sonoro era stato ben congeniato, oltre che voluto e sincero.
La decadente “Annie – Dog”, quella sì carica di mestizia vera, e la maestosa, drammatica “Tear” avevano i loro contraltari nelle splendide “Crestfallen”, in cui Billy Corgan pur non tralasciando di assumersi colpe o responsabilità , respinge forte il suo innato nichilismo per abbandonarsi in una dichiarazione sincera (anche se dai contorni poco felici ed escludendo l’happy ending), e soprattutto in “Perfect”.
Quest’ultima rappresenta il picco dell’album, sia per soluzioni melodiche e un arrangiamento in cui il mix tra pop ed elettronica appare, come da titolo, perfetto, sia per il testo che fa emergere un forte senso di nostalgia per il passato, per come le cose sarebbero potute andare. Il suggestivo video ma anche certe immagini hanno fatto accomunare di primo acchito questa canzone a quella “1979” grande protagonista del precedente “Mellon Collie”.
A chiudere il disco, se escludiamo la pianistica “17” che ci saluta in 17 secondi, ci sono altre due autentiche gemme: la già citata “For Martha” dedicata dal leader alla madre scomparsa e l’onirica “Blank Page”.
La prima è di fatto una suite e specie dal vivo riusciva a coinvolgere e trascinare in maniera tangibile con i suoi cambi di registri, sonori e non solo, col suo crescendo di intensità ““ dal pianoforte alle chitarre – e i versi pervasi di vivida commozione, in un virtuoso saliscendi emotivo; la seconda è in grado di squarciare l’anima con i suoi incastri elettronici a far capolino in una melodia circolare che può ricordare la pianistica “Mellon Collie…” che apriva il disco precedente.
A distanza di 20 anni “Adore” non ha perso un grammo del suo fascino e della sua profondità e poco conta se all’epoca almeno dal punto di vista commerciale fu un flop, facendo storcere il naso quando non proprio allontanare qualche fan della prima ora.
Non aiutarono nemmeno le roboanti, quanto dissonanti, dichiarazioni di Corgan che da una parte sosteneva che il rock era ormai morto, sorpassato da giovani talenti pop in piena ascesa come Britney Spears (!), dall’altra non dimenticava di declamare come “Adore” si apprestasse a diventare il “The Wall” degli anni 2000.
Il tempo in questo caso è stato galantuomo ed è innegabile come questo progetto sia un unicum nel percorso artistico di una band enorme quali sono gli Smashing Pumpkins. Un unicum però riconosciuto e considerato da più parti come giusto che sia, cioè un capolavoro.
Smashing Pumpkins – “Adore”
Data di pubblicazione: 2 Giugno 1998
Tracce: 16
Lunghezza: 73:15
Etichetta: Virgin Records
Produttori: Billy Corgan, Brad Wood, Flood
- To Sheila
- Ava Adore
- Perfect
- Daphne Descends
- Once Upon a Time
- Tear
- Crestfallen
- Appels + Oranjes
- Pug
- The Tale of Dusty & Pistol Pete
- Annie-Dog
- Shame
- Behold! The Night Mare
- For Martha
- Blank Page
- 17