Dal silicio dal sapore tipicamente ambient ai ricchi arrangiamenti barocchi il passo non è esattamente breve. E, nonostante un intervallo creativo durato circa tre anni, le conseguenze non sono sempre facili da digerire. Questo forse è stato il limite principale della precedente uscita degli Efterklang. La volontá di diversificarsi dallo stuolo di gruppetti piຠo meni indiependenti ha portato ad una forzatura dei meccanismi sonori non ancora oliati a dovere che ha parzialmente compromesso quanto di buono avevo fatto in passato. Ora a distanza di altri tre anni il collettivo danese ha cercato di correggere il tiro con un lavoro che sembra essere in apparenza essere piຠorganico e bilanciato del suo predecessore, ma che diventa paradossalmente una parodia pop di quello che una volta era un gruppo promettente.
Detto ció vi anticipiamo il giudizio finale su “Magic Chairs”: se non avete apprezzato “Parades” allora tenetevi alla larga. Perchè le dieci tracce in scaletta si muovono sulla falsa riga dell’opera precedente, mettendo qualche pezza qua e lá senza tuttavia fare quel salto qualitativo in parte auspicato. Insomma, ad eccezione di qualche episodio, la proposta finisce ben presto col cadere nel dimenticatoio o, peggio ancora, rischia in alcune occasioni di non arrivare a fine ascolto. Onestamente è un peccato perchè partenza e conclusione sembravano presagire ben altra qualità : l’emotività suadente di “Modern Drift” accarezza i sensi e trasporta davvero lontano, mentre la dolce malinconia di “Natural Tune” scava un solco nell’animo dell’ascoltatore. Nel mezzo tuttavia tanta, tantissima noia: un’overdose di sinfonie che sguazzano in maniera caotica, quasi a voler tramortire i sensi di chi si cimenta all’ascolto, e un’abbondanza di effetti elettronici che appesantiscono ulteriormente il disco.
Insomma “Magic Chairs” sembra sancire l’inizio della fine per gli Efterklang. Quando l’eutanasia diventa l’unica via di salvezza per i nostri timpani…
Credit Foto: Rasmus Weng Karlsen