PROGRAMMA
Salone della Cultura: MUNK [D], HEADMAN [CH], EROL ALKAN [UK], MODEL 500 [USA], CARL CRAIG [USA]
Aula Magna: CLUSTER [D], MURCOF feat. XX+XY VISUALS [MEX/IT], FUJIYA & MIYAGI [ENG], LUCKY DRAGONS [USA], ZU vs SCARFUL [ITA]
Terrazza: DEADBEAT [CAN], THE BUG [ENG], BRASINLINTIME feat. DJ NUTS, J.ROCC, IVAN “MAMAO” CONTI, JOAO “COMANCHE” PARAHYBA, MADLIB, TONY ALLEN [BR/USA/NG]

Grazie alla magica combinazione Riopan+Cibalgina2Fast, sabato all’ora di pranzo riesco ad uscire (quasi) indenne da un risveglio che avrebbe potuto rivelarsi assai drammatico per motivi facilmente intuibili. Arrivo quindi piuttosto fresco alla seconda serata dissonante, che si apre, alle 23.15 nell’Aula Magna, con i landscapes dei Cluster.

Roedelius e Moebius smanettano su synth e sui laptop, ma almeno nei primi quindici minuti del live la cosa non è uscita dai poco originali schemi ambient/glitch, dunque un po’ annoiati per una performance che non si è certo segnalata per personalità  abbandoniamo la sala.

Senza indugio decidiamo di salire in Terrazza, dove alla stessa ora dei Cluster aveva iniziato a suonare Scott Monteith aka Deadbeat. Che è stata una delle sorprese del Festival. Non so per quale cazzo di motivo, avevo giudicato male, anzi malissimo, il suo ultimo disco “Journeyman’s Annual” . Nel senso che mi era parso una release dubstep incolore e, fatto per me ancora più grave, pericolosamente flirtante con cose reggaeton ( vedi “Gimme a little slack”). Invece Deadbeat ““ e l’ascolto a posteriori del disco me lo ha confermato ““ è un genio: esplora tutta la spazialità  del dub, lo fa vibrare ipnoticamente (“Turbolence”), lo riduce in half-step coi synth sporchi, rotola coi bassi peggio di Burial.
Non credo che la maggior parte del pubblico che era lì lo avesse mai sentito, anzi non credo neanche che avesse mai sentito nominare il dubstep, fatto sta che più tempo passava e più gente si accalcava sotto il palco per applaudirlo.

A questa performance fantastica ne è seguita un’altra ancora più straordinaria: The Bug con la Warrior Queen. The Bug è una conferma ““ ma quand’è che agli Ep si aggiungerà  questo fottuto album? -, ma poterlo ascoltare dal vivo con due Mc’s diversi è stato grandioso. In perfetto stile reggae dancehall – con tanto di rewind alla fine di ogni pezzo – dalla Terrazza The Bug ha spedito in orbita i beat dubstep con un live che ha spaccato di brutto. Con l’ingresso della robustissima inglese di colore Warrior Queen, il suono ha preso una direzione più grime, col risultato che in pochi minuti la Terrazza si era riempita del tutto.
Saremmo rimasti fino alla fine, ma si dà  il caso che nell’Aula Magna suonasse un certo Murcof, per cui con la morte nel cuore abbiamo salutato il palcoscenico dubstep per correre dal messicano.

Arriviamo trafelati nell’Aula Magna e Murcof ci accoglie con le sue sinfonie elettroniche, rese ancora più intensi dagli incredibili visuals di XX+XY. Assistere al live di Fernando Corona è stata l’esperienza unica che ci aspettavamo: per mezz’ora ci siamo completamente lasciati trasportare da orchestrazioni spaziali modulate sulle immagini di mondi e forme sconosciute. Immenso.

Dopo 5 minuti di applausi, Murcof lascia spazio al kraut-pop di Fujiya & Miyagi. Non ho ben capito perchè, ma fatto sta che i tipi sembravano essere molto conosciuti e apprezzati dal pubblico, tanto che fin dalle prime note si è formato un gruppetto di persone in piedi sotto il palco. Il live fila piuttosto bene e il gruppetto di persone diventa un gruppone di sciamannati che ballano di gusto, non si sa se perchè ubriachi o perchè davvero convinti sostenitori della band. Tra una presenza Vip (Enrico Silvestrin) e una birretta, ci ricordiamo che di sopra sta andando in onda Brasinlintime, progetto che vede coinvolti un paio di pezzi da novanta della Stones Throw come Madlib e J.Rocc insieme a percussionisti come Ivan “Mamao” Conti e il redivivo Tony Allen.

La proposta è interessante: fondere tropicalismi brasileiri con le meraviglie afroamerica del suono Stone Throw. Il risultato, direi, è coinvolgente: entra prima un Mc che annuncia tal Dj Nuts, poi un percussionista, poi un altro, poi J.Rocc e infine Madlib, che mi pare non avesse solo i piatti ma anche altra roba davanti (era perfettamente allineato dietro una colonna e in pratica l’ho visto solo per un attimo). Mi si dice che verso le 3 la situazione si è fatta più funk e soul come casa madre vuole, ma purtroppo avevamo già  fatto la cazzata di scendere nel Salone della Cultura per ascoltare Erol Alkan.

Qui c’è da aprire una breve parentesi. Va bene che per un Festival di musica elettronica con una tale affluenza di pubblico non è il caso di fare gli schizzinosi per il tipo la gente che trovi, ma quello che ho visto il sabato sera nella sala grande era veramente incredibile. Gente con la tuta della Roma senza maglietta, calatini di 40 anni che ballavano incastratissimi con indosso canottiera e marsupio (sic!), orde di ragazzini ubriachi: insomma, una cosa terribile. Per farvi capire la situazione, considerate che siamo entrati 5 minuti nell’Aula Magna durante il live dei Lucky Dragons, con i quali avevamo scambiato quattro chiacchiere il giorno prima. Mentre cercavamo dei posti per sederci, dietro di noi entrano un gruppo di persone. Una dice all’altra: ” Ma che è sta roba, che genere fanno?”. L’altra risponde così: “E’ genere che te fa flescià , cioè è robba che se fa pe fa flescià  e persone”. Risposta dell’altra: “Ah, da paura, si che flash cazzo”. Parentesi chiusa.
Tuttavia, a questo clima ben si adattava la cafonaggine sonora di Erol Alkan. Messi da parte i ritmi indie dei suoi remix, l’inglese ha calcato la mano su una specie di techno tamarrissima, a base di continui stop & go e sirene in stile ” James Brown Is Dead”, per chi se la ricorda. Terribile, pure lui.

La stanchezza si fa sentire, la gente si fa detestare, la musica si fa accusare ma i Model 500 li voglio vedere. Così resisto stoico e, munito di bracciale per la guest area, salgo sulla balconata alla ricerca di conforto.
Da questa posizione ““ assai più vivibile rispetto ai bassifondi -, mi godo lo strepitoso live dei marpioni Model 500. Con Juan Atkins e Mister Mike “‘Mad’ Banks, i modelli detroitiani ““ ovvero la storia della techno firmata Motor City ““ danno vita ad un live old school da brividi, ovviamente non compreso dalla platea che era alla spasmodicamente anfetaminica ricerca di casse dritte. I classici si sprecano, ma io in particolare ricordo una acidissima versione di “‘Transmat’, che è pure uno dei loro pezzi che preferisco. Grandissimi.
Li segue ““ alle 4.30 ““ il discepolo Carl Craig, che finalmente può dare in pasto alla numerosa folla rimasta ciò che vuole: techno devastante a prova di Mdma.
Comincio piano Carl, salvo poi scoattare col microfono annunciando un’ improbabile legame Detroit, Usa, Roma e facendo partire uno degli attacchi più potenti che abbia mai sentito. Delirio.
Tremano le fondamenta del fascistissimo Palazzo dei Congressi, si alzano le braccia, le mascelle hanno il loro bel daffare e, per qualche minuto, risale anche a noi l’adrenalina.
Ma, purtroppo è solo un’illusione: dopo poco siamo costretti a gettare la spugna, inchinandoci a Lord Craig e dedicandogli un’ultima sigaretta devozionale appoggiati sulla ringhiera della balconata.
Sotto è ancora pieno, ma per noi Dissonanze 08 si chiude qui.
Come sempre, in attesa della prossima edizione.

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Video from the NITE:
DEADBEAT

MURCOF feat XX+XY VISUALS

FUJIYA & MIYAGI

MODEL 500

CARL CRAIG