Undicesimo album in studio per Leonard Alber “Lenny” Kravitz, la cui carriera ormai quasi trentennale ha segnato pagine importanti del pop rock mondiale e non ha bisogno di presentazioni.
E quindi, quando ci mettiamo di fronte a cannonieri di questo calibro, è logico che grosse quantità di rispetto ed aspettative vadano a braccetto.
Lenny Kravitz in “Raise Vibration” dà l’ulteriore prova di bravura e talento, di poliedricità (ancora una volta tutti gli strumenti sono stati suonati dallo stesso cantautore, col supporto in produzione di personaggi come Craig Ross e David Baron) e di una sensualità , musicale e non solo, che ha pochi eguali.
D’altro canto, quello che convince veramente poco è, nella sua concretezza, lo spessore di questo lavoro.
Ci sono sì ballate dal taglio Kravitz, tra cornici ed ambientazioni funk e funky, soul e R’n’B, jazz e black music, insieme a (specialità della casa) messaggi di pace, amore e fratellanza: “Low”, ormai in heavy rotation sui canali più mainstream, è lineare quanto seducente, ed ha pure il giusto groove superfunk, “We Can Get It All Together” è perfetta per l’apertura di una rock performance live, “Who Really Are the Monsters?” si incastra bene con le sue orbite elettroniche ed al contempo ammalianti.
Per il resto? Tanti pezzi easy listening, uno zenith guitar rock che si tocca (ed è tutto dire, visto chi abbiamo davanti) con il brano – che dà il titolo all’album – “Raise Vibration” e che lascia spazio invece ad inni al e sull’amore come “Here to Love” con il suo piano, i cori gospel ed una prova di bravura canora di Kravitz che pare però molto fine a se stessa, l’intima, delicata e tenera “Johnny Cash” (che lo consolò quando la madre venne a mancare) o ancora “I’ll Always Be Inside Your Soul ” e “Majesty Love”, anch’essa dal vestito funk e dal lungo assolo di tromba che caratterizza anche “It’s Enough!”, unico vero tentativo di (fiacca?) denuncia; allo stesso tempo ci troviamo di fronte anche a momenti che appaiono superflui od almeno evitabili come possono risultare brani tipo la fresca “5 More Days “‘Til Summer” o “Ride”.
In sintesi: percentuale rischi presi che rasenta lo zero e carica rock al minimo, laddove la sensualità e la bravura di Lenny Kravitz stavolta non bastano a dare un valore oggettivo a questo “Raise Vibration”, che purtroppo corre il serio rischio di prendere la forma di un potenziale parziale passaggio a vuoto.
Ad maiora”…