Come si fa a trasformare la propria musica da un’affascinante e leggera composizione psichedelica al limite di un sussurrato post rock nel più bacchettone brit pop da classifica? Facile: ti devi sposare. Ecco quindi Richard Ashcroft, colui che “Con tre album entreremo nella storia” quello di tutte le droghe esistenti, quello che magro come un manico di scopa con dietro il suo gruppo dava al mondo un debut onirico pieno di nebbia, un secondo album che è uno dei più sottovalutati lavori indie rock inglesi della scorsa decade e un terzo ricco di ottimo psyc-pop, rompere la magia e l’intreccio artistico creato con un piccolo genio della chitarra chiamato Nick McCabe e sposarsi con una bella bionda. Di colpo niente più droghe, niente più visioni, “solo” una villa in campagna, un cane e parecchi pannolini sporchi da cambiare la notte (Francesco preparati cazzo!). Insomma addio “New Decade” e benvenuti “Money To Burn”. Oggi siamo al terzo episodio da solista del buon Richard, intitolato “Keys To The World” e anticipato da un ottimo singolo come “Break The Night With Color”, ballata fortemente Embrace, che per un attimo aveva toccato in profondità la mia personale passione per “Weeping Willow” spingendomi quasi a comperare l’album nuovo di pacca. Il disco è di facile ascolto, striato da finissime righine blues (niente di complicato ma accattivante).
Recentemente intervistato Richard ha dichiarato che “Why Not Nothing?” nasce dal concetto di chiedersi “Perchè non niente? Perchè cavolo non posso decidere di starmene seduto tutto il pomeriggio sul divano mentre il mondo va in rovina?”. Concetto teoricamente interessante per due secondi (o al massimo tre) ma, Richard, quando ti chiedono da dove provenga l’idea non puoi dire “Me l’ha suggerita mio suocero…una gran brava persona!”. TUO SUOCERO?!? UNA GRAN BRAVA PERSONA?!?!?!? Cazzo! Il Mad Richard dei bei tempi avrebbe detto “Il sacro fuoco della conoscenza” oppure “Jim Morrison dall’inferno” o che ne so “Baudelaire in sogno…” di certo non un suocero panzuto che vive nell’Essex.
Vabbè, accontentiamoci di un album pop, inglesissimo, scorrevole e senza troppi “difetti”, dimentichiamo per un attimo quella mezza porcheria di “Human Conditions” e rimpiangiamo in coro il tempo in cui camminavamo spavaldi sul marciapiede dando spallate a tutti senza girarci per chiedere scusa. So It Goes.
Credit Foto: Roger Woolman [CC BY 3.0], via Wikimedia Commons