Un forte brusìo. Un vociare inarrestabile da cui emerge Chopin. Undicesimo studio. Opera venticinque. Molecole d’aria che si muovono. Stop. Tempo di qualcos’altro. Eccomi qui, bello e incupito dentro quello specchio, a recensire “In The Land Of The Sun” dei Satellite Inn., scommessa vinta in partenza della Urtovox.
In termini pratici si può dire che il gruppo suona come se gli Smashing Pumpkins dopo “Adore” avessero deciso di svoltare verso un folk psichedelico: elettrico, sperimentale, toccante e infinito. Rabbia piena di sfumature blu. Il nostro linguaggio (corporeo, mentale, percettivo) è il mezzo con cui ci appoggiamo inconsapevolmente all’universo e i violini che pulsano sotto la pelle di “Adeline” sono la chiave per capire qual è la visione della band riguardo la vera realtà delle cose e che colore ha nel profondo. La voce di Stiv Canterelli possiede il timbro malinconico di Billy Corgan, lo stress paranoico di Thom Yorke e la fragilità di un sussurro di vento.
I testi romantici come quelli di Joakim Berg (Kent) (provate a non piangere, leggendo e respirando “Sauget Wind” di notte”…) si adagiano su una musica di cui l’Italia potrebbe andar fiera per i prossimi cinque anni (altro che Povia e i piccioni”…). A volte, per fortuna, ci si accorge in tempo di ciò di cui si aveva bisogno. Eliminati tutti i gruppi garage-pop che ruotano attorno alla testa rimane quello più brillante e necessario, senza possibilità d’errore. Eliminato ogni altro fattore, quello che resta deve essere il fattore esatto. Non sono io a dirlo. E’ Sherlock Holmes.