Pensate: “E’ evidente che la negazione della negazione equivale all’asserzione”. Cadete a terra svenuti con in mano l’ultimo bicchiere di vino. Mentre constatate la gelida compattezza del pavimento con la guancia osservate/ascoltate le schegge di vetro infrangersi con un suono cristallino. Giungete all’illuminazione serale: Attualmente se ti chiami Lillian Berlin sei cool. Se non ti chiami Lillian Berlin non sei cool. Riassunto delle puntate precedenti: se sei in una band formata da quattro persone e due di queste sono i tuoi fratelli (Eve-basso, Bosh-batteria) sei cool già  in partenza. Se poi a questo aggiungi che sei sposato con la regista Floria Sigismondi (Incubus, Sigur Ròs“…) acquisti un ulteriore bonus tridimensionale supercool all’arancia. Se poi, già  da quando aprivi i concerti ai Libertines e ai Vines, due riviste americane su tre ti additavano come l’unico vero erede vivente di Mick Jagger allora cominci quasi a pensare di aver raggiunto il livello semi-god al caramello. Se infine dichiari pubblicamente in un’intervista che, pur essendo nato e cresciuto a St.Louis, Missouri, non vedresti l’ora di trasferirti a Pescara perchè “lì si che si vive bene altro che America”…vorremmo proprio prendere un appartamento sulla costa”…” allora sei veramente uno alternativo fin dentro le ossa (e scritta da uno che è nato e cresciuto nel cuore dell’Abruzzo questa frase “pesa” il doppio”…).

Bene, credo che abbiate capito, simpatici ragazzuoli, che il gruppo del quale si parla oggi è leggermeeente sopra le righe. Politicizzato come neanche Micheal Moore nei suoi giorni peggiori e selvaggio come i gatti randagi delle periferie cittadine i Living Things di Lillian Berlin danno alle stampe un concentrato di debut-luminescenza targata Steve Albini che non fa rimpiangere i migliori gruppi garage anni settanta. Un assaggio di queste voglie anarchiche lo si aveva avuto già  l’anno scorso con i The Others, solo che nel debut dei Londinesi c’era veramente troppo casino e poche idee e il tutto convergeva solo in uno sfascio di tutto (si esatto anche di palle”…).

Qui si sa “dove andare a parare”. Anche nell’anarchia ci vogliono un po’ di regole? Io non lo so, ma questo è meglio di tutte le band inglesi attuali. Punto. La voce che sembra rubata per un secondo a Caleb Followill e la chitarra presa a forza da Keith Richards anzi dai Ramones, anzi dalla band di vostro cugino che suona dietro casa. Tutto sfasciato, tutto sporco, metropolitano e scazzatissimo. Polvere. Niente di particolarmente metafisico. Bottiglie di birra con dentro qualche tigre. Dai sparate al massimo sto disco senza troppe storie. Non serve mica il mio parere per svelarvi che voi in fondo siete sempre e comunque l’avatar di Dio mentre si gode un pezzo rock. Uno che è cool fa musica cool. Punto.

Credit Foto: Samuel33226, Public domain, via Wikimedia Commons