L’odore del disgelo, il piacere del risveglio, nonostante tutto.
Stiracchiarsi al sole mattutino e partire.
“Dovessi mai svegliarmi” dei Numero 6, nello specifico, parte proprio bene: morbido e avvolgente, coretti e clap clap.
“Spara se vuoi”, “Un finale rocambolesco” e “Automatici” sono una tripletta da lasciare di stucco: tre piccoli capolavori di quel pop italiano che accarezza i timpani con arrangiamenti preziosi e curati, scalda il cuore mantenendo però il giusto distacco e solletica la corteccia cerebrale con testi intelligentemente lievi, con quella capacità che è poi il mistero profondo dell’arte pop, di far apparire spensierato anche un trattato di filosofia e permettere l’ascolto a più livelli.
Proseguendone l’ascolto la tavolozza dei colori esplode lasciando spazio a chitarre appena più robuste e rockish, giochetti quasi electro-wave, comunque anni ’80, che ti guardi intorno per vedere se sei solo e puoi metterti a fare il “ballo del manichino” senza troppo vergognartene (“A galla i demoni”), jingle-jangle di chitarrine acustiche da qualche parte sopra l’arcobaleno (“Mi succede”), risentimento e sarcasmo stemperati da un falsetto “Vibrante” e da un kazoo strombettante (“Al cuore della storia”), refrain strumentali definiti e definitivi (“Stiamo per perderci”).
Poche concessioni al superfluo e qualità compositiva pressochè costante fino all’ultima canzone: “Da piccolissimi pezzi”, altro piccolo capolavoro tra “Karma Police” e “The Passenger”, per quel che mi riguarda il vertice dell’intero lavoro (“Io non faccio poesia. Verticalizzo e bado al sodo”).
In definitiva, i Numero 6 mi si sono rivelati come una vera e graditissima sorpresa, di quelle che quasi ti torna la fiducia nella musica Pop italiana.
Un’altra meravigliosa anomalia che rischia di restare segreto per pochi.
Sarebbe un vero peccato!