“This record was made with one microphone, one acoustic guitar, a cheap keyboard, six pairs of hands, three sets of vocal chords, and one small egg shaker. All of the music produced by this small arsenal of sound was compiled, edited, and recorded in two rather poorly decorated London flats”…”
Ci credono fermamente alla loro natura low-fi questi Princeton.
Sicuramente per necessità ma anche forti del fatto che dopo tutto se hai delle buone idee puoi fare anche a meno di tecnologie all’avanguardia e non viceversa, i tre ragazzi americani realizzano tutto in casa, comprese le copertine utilizzate per le versioni promo di questo “A Case Of The Emperor’s Clothes” (quello che mi viene consegnato è un cd con art-work rigorosamente fatto a mano”…stupendo !!!).
I Princeton sono due gemelli di Los Angeles, area Santa Monica, alla ricerca di un po’ di visibilità . E in un’ epoca in cui con pochi click si fa presto a sapere tutto di tutti, i 15 secondi di notorietà (ebbene si i tempi cambiano e i minuti diventano secondi”…) non si negano più a nessuno.
Quello che propongono i fratelli Kivel (coadiuvati dall’inseparabile amico Ben Usen) è delizioso indie-folk ad alto tasso melodico. Le strimpellate di acustica corrono lisci, handclaps, tamburi e pianole rimediate su chissà quale bancarella da rigattiere, fanno le loro apprezzate apparizioni, l’atmosfera da falò sulla spiaggia con tanto di coretti annessi è presto ricreata.
Tra le sette tracce di questo lavoro, da considerarsi a tutti gli effetti un’ EP di presentazione, non manchiamo di notare anche una sottile e mai disprezzata vena malinconica (“Two Hands”). Non si fa fatica quindi a credere che da queste parti conviva tanto un’ anima pop cresciuta a pane e Kinks che una sensibilità acustica capace di ammirare Nick Drake quanto di consumare con ripetuti ascolti recenti sorprese indie come Page France.
Si sa, di questi tempi, solo con le buone idee si va poco lontano, ora il passo successivo è mantenere le intenzioni e la sincerità di questo esordio autoprodotto (e per ora distribuito ai soli concerti) ed affidarsi a qualche piccola ma navigata etichetta indie. Affiancati da un buon produttore e un’ attrezzatura che di certo non puoi permetterti in a “poorly decorated London flat” il futuro dei Princeton può riservarci piacevoli sorprese.