Come già accaduto per il fantastico festival transalpino Rock En Seine, IndieForBunnies si avvale della collaborazione di un caro amico per un prezioso contributo dall’estero.
Il fidato Olmert dislocato per alcuni giorni in quel di Londra, torna alla nostra tana portando in dono Mp3, foto, video e soprattutto un ottimo resoconto del concerto dei The Decemberists di scena al mitico Sheperd Bush Empire.
Indie live report internazionale, contenuti assolutamente speciali, un grazie di cuore ad Olmert dagli indie-roditori.
Ecco ” I Decabristi “, ovvero i membri della rivolta scoppiata in Russia nel dicembre del 1825 e conclusasi con la sconfitta dei ribelli, che lo Zar Nicola farà arrestare e deportare in Siberia.
Cosa c’entri tutto questo con Portland, città di mare dal clima temperato e dalla effervescente scena artistica, non e’ dato sapere. Il dubbio potrebbe però esserci svelato da Helmut , Axelmoloko e soci in una possibile prossima intervista (a distanza) a Colin meloy, leader e mente del gruppo, autore dalla “penna” raffinata e dalla voce piuttosto nasale; Sono certo che i Bunnies non farebbero su di lui della “vanziniana ironia” come quella che mi è capitato di leggere su di una recente recensione. Eccone un’ estratto: “”Colin Meloy, il cantante e autore delle canzoni, è paffuto, occhialuto, con una faccia buffa e cinematografica da nerd di provincia, di quelli che al campus universitario se ne stavano chiusi nella loro cameretta a leggere, fantasticare e strimpellare la chitarra invece di fare sport, sbronzarsi e portarsi a letto le studentesse più carine “.
A mio parere i decembristi non c’entravano nulla nemmeno con Bologna (anche se il concerto si svolgeva all’Estragon, guarda caso, a via Stalingrado), citta’ politicamente e socialmente non idonea per concerti di questa levatura ( forse funzionerebbe meglio per un concerto dei Linea 77 o una manifestazione ” movimentista ” ).
Fatte queste sarcastiche ed amare considerazioni, non potevo che gustarmi Colin Meloy e soci in quel dì Londra, approfittando per andare a vedere anche i Magic Numbers che avrebbero suonato il giorno successivo.
La band statunitense è in tour per presentare la loro ultima fatica ( la prima con una major) ” The Crane Wife”, una sorta di concept album che prende lo spunto da un’antica favola giapponese, “Tsuru no ongaeshi” (La gratitudine della gru). La vecchia parabola popolare narra di una gru ferita che, attraverso le cure amorevoli di un uomo, trasformano l’animale in donna e fedele compagna, fino a quando la curiosità e l’avidità del suo salvatore non romperanno per sempre l’incantesimo.
Ad ogni modo, l’8 febbraio , puntualissimo come una diffida della Digos, arrivo al The Forum di Shepherds Bush Empire. All’entrata Il primo impatto mi fa venire subito alla mente una scena tratta dal film “Los Lunes Al Sol”, dove il protagonista ed un suo amico sono seduti su una scogliera, osservando una nave da crociera diretta in Australia:
-“Lo sapevi che L’Australia e’ 10 volte piu’ grande della Spagna, ma con meno della meta’ della popolazione? E’ un paese agli antipodi!!”
-“Antipodi? Sarebbe a dire?”
-“Antipodi, contrario di. Li lavori, qui no; Li scopi, qui no.”
A suo modo, Londra ed in particolare il Forum e’ agli antipodi , paragonandolo ad un qualsiasi locale della capitale. Ottima la scelta delle birre alla spina, ben fatti i cocktail, puliti ed ordinati i cessi, acustica molto simile ad un’auditorium, gente (non me ne vogliano i lettori “romani”) decisamente di qualita’ superiore e, non per ultima, ottima visibilita’ da ogni punto del teatro.
Ma forse tutto questo era scontato.
Come scontata era la scaletta dei brani, concentrata maggiormente sull’ultimo album. Magistralmente eseguita la lunghissima (quasi 13 minuti) “The Island, Come And See, The Landlord’s Daughter, You’ll Not Feel The Drowning”, canzone da sofisticato rock anni 70 ( non a caso la tastierista Jenny e’ una gran fan dei Jethro Tull e di Emerson, Lake e Palmer ).
Molta partecipazione per “Shankill butchers”, che si allontano dalla fiaba nipponica, rievocando scene della guerra in Irlanda ( realmente accaduti ) negli anni 70. Immancabili I 3 episodi di “The Crane Wife” vera spina dorsale dell’album, ovviamente riproposta al contrario (come nell’album). Splendida anche la hit ” O Valencia” – che narra le vicende di due novelli Romeo e Giulietta il cui amore è contrastato dalla famiglia di lei – ballata un’po da tutti i settori del teatro così come “Yankee Bayonet (I Will Be Home Then)”.
Non scontata invece era la versione di “Sixteen military wives”, dove Meloy ha dato prova di esperto front man, suddividendo il teatro in 4 parti di pubblico e attribuendo a ciascuno (non senza fatica) il suo “la di da di da” nel ritornello. Il tutto ovviamente in puro stile” Decembrista”: un coro contro l’altro , come in una battaglia di 2 secoli fa. Sempre da “Picareque” sono state riproposte “We both go down together”, ascoltata pero’ dai “bellissimi” cessi del The Forum, a causa delle 2 birre precedentemente bevute, e “The Engine driver”.
Estratta da “Her Majesty” la coinvolgente “Billy Liar”, che inutile dire, ha fatto alzare di nuovo le 3 file superiori del teatro.
Meloy ha anche avuto il tempo di far entrare 2 ospiti inglesi, uno dei quali era nientemeno Robyn Hitchcock che ci ha deliziato con un paio di proprie composizioni. Un’ po di delusione, per chi come me, alla parola “ospiti”, aveva gia’ pregustato Joanna Newsom o Morrissey, considerato che il ” paffuto ” leader ha spesso ammesso di ispirarsi all’ex Smiths , dedicandogli recentemente un Ep, che riproponeva alcune sue canzoni da solista. Con la giovane cantante americana, invece, ha per ora all’attivo solo una cover, “Bridges and Balloons”.
Ma la vera sorpresa si e’ avuta al ritorno dal richiestissimo “bis”. Dopo aver ironizzato sugli inglesi presenti ( “Voi che vi vestite con pochi pound da H & M” ), ha aperto “A Cautoniary song”, ma in versione solista. Il perche’ lo si e’ capito poco dopo, allorchè due componenti del gruppo sono entrati tra il pubblico battendo il tempo con degli strani strumenti. Di seguito i due, con l’aiuto dal palco di Meloy, hanno creato una “trincea” tra gli spettatori, inscenando una battaglia della guerra civile americana: da una parte gli inglesi, capitanati dal batterista John Moen, dall’altre i “rivoltosi” con il bassista “tutto fare” David Funk. Il tutto, con il sottofondo della branp, adeguatamente rallentato e improvvisato.
Tornato “L’ordine”, Meloy ha chiuso il concerto chiamando sul palco una decina di ragazzi , per nulla intimiditi nel proporre con lui “Sons And daughter” in una versione corale .
Applausi quindi per questi Decemberists, sia da me che dai moltissimi presenti. Applausi anche per il neo papa’ Colin Meloy che, a parte la giacca orrenda, si e’ rivelato un piacevolissimo intrattenitore ( a proposito, a sentir lui la madre era veramente una trapezista cinese: “Mia madre era una trapezista cinese nella Parigi prebellica, contrabbandava bombe per i partigiani. Incontrò mia padre a una festa a Aix-en-Provence. Lui era travestito da cadetto russo e lavorava per l’Asse” ) .
Anacronistici insomma. Almeno cosi sono o vogliono sembrare. Lo ammette lo stesso Meloy in un’intervista:” Penso sia vero. Vuol dire che facciamo un tipo di musica che le radio oggigiorno non trasmettono. E poi i miei dischi preferiti sono sempre stati anacronistici rispetto ai loro tempi. Mi sono sempre piaciute le canzoni fuori moda. Se vivi a Portland, in mezzo alla natura, ti viene naturale suonare certa musica, come dire, bucolica”. Che canti dell’Unione Sovietica degli anni “’40 o dell’Irlanda dei “’70, del Giappone della notte dei tempi o della Guerra Civile americana, Meloy descrive sentimenti e fatti senza tempo e quindi decisamente interessanti per i suoi contemporanei. Lo fa, specie in quest’album, miscelando sapientemente tenerezza e tristezza, commedia e tragedia, avventura e romanticismo. |