Certi dischi hanno dei tempi ben precisi, come un bel dipinto esigono la loro giusta cornice e un posto appropriato, la giusta luce e la giusta angolazione perchè certi colori e prospettive vengano fuori. Nonostante anni di ‘disinsegnamento’ televisivo l’occhio và  guidato. Non saper guardare può essere grave, il vero problema in realtà  è la conseguenza ovvero il non saper imparare. Evolversi sapete quella roba lì.
Non so se questo discorso funziona anche per l’ascolto, ma in massima parte funziona con il nuovo disco di Rufus Wrainwright. Formalmente in ‘Release The Stars’ in effetti c’è nè più nè meno quello che c’era negli album che lo hanno preceduto. Mettiamolo subito il dito nella piaga: Wainwright sulla distanza può diventare abbastanza claustrofobico. Nonostante certe timbriche vocali leggermente barcollanti alla Thom Yorke, forse qui manca proprio quell’elemento di imprevedibilità  compositiva che i Radiohead ha reso celebri. Non è per fare un paragone, al contrario è per esporre un modo di fare musica diametralmente opposto. Qualche rischio in più insomma non guasterebbe nella discografia di questo artista statunitense.

Detto ciò l’eleganza è un pregio oggettivo, specialmente nell’uso di orchestrazioni strumentali e cori di sfondo che in alcuni passaggi arrivano ad avere una matrice Gershwiniana. Brilla la capacità  di costruire canzoni di stampo pop su strutture maestosamente orchestrali, in questo a Rufus riconosciamo un raro dono. Prendiamo ‘Do i Disappont You’, una melodia semplice ed elegante che nasce da uno scarno intro di chitarra acustica, ritrovata poi nella seconda metà  solennemente trasformata che ancora galleggia sicura e precisa sopra maestosi cori da camera e solenni costruzioni sinfoniche. Se vogliamo però tornando a quanto detto prima,un po troppo vicino a quanto fatto a suo tempo con il bolero che si rivelava dal cuore di ‘Oh What a World’, riuscitissimo brano che guardacaso ancora una volta in apertura di ‘Want One’ targato 2003.

Tutto suona abbastanza retrò e un po’ fuori dal tempo un po come certa musica di Antony and the Johnsons con cui infatti Wainwright ha condiviso più di una collaborazione. Sempre minuziosamente patinata la produzione anche quando le atmosfere si fanno più spigliate, ed è qui che certe alchimie si fanno a volte un po’ incerte. Indubbiamente sono le atmosfere più soffuse anche quelle più congeniali a Wainwright: una ballata al piano, fioca e morbida come ‘Leaving for Paris n.2’ non è cosa da tutti, arrangiata con la stessa eleganza con cui l’ultima voluta di fumo di una candela sale lenta mentre la fiamma si spegne in un puntino luminoso.

“Release the Stars” potrebbe annoiare, potrebbe non lasciare il segno per la freschezza di certe soluzioni. Ma come si diceva all’inizio certe volte bisogna saper trovare il giusto contesto e angolazione per apprezzare. Disco solo per chi ha tempo e voglia insomma.

Credit Foto: Oliver Mark / CC BY-SA