Dopo lo sconvolgente sabba “Drum’s Not Dead” del 2006 tornano sulle scene i vulcanici Liars. Proprio per il fatto che sono uno dei miei gruppi cult degli ultimi anni, li aspetto sempre al varco ad ogni nuova release, certo che questa sarà sicuramente quella della svolta che ne decreta la definitiva fase di discesa. Convinto che per i Liars come per tutti i grandi gruppi prima o poi uno scivolone sia inevitabile. Finora, contro tutte le previsioni, invece questa previsione è stata totalmente contraddetta. Meravigliosamente. E anche per il 2007 Angus Andrew, Aaron Hemphill e Julian Gross decidono che il pericolo è scampato.
D’altronde si parla di una band con contropalle tante, che avrebbe diritto ad una cattedra da luminare all’università della musica degli anni “’00. La capacità di disarcionare l’ascoltatore ad ogni istante dell’ascolto delle nenie diaboliche è il tratto caratterizzante dall’esordio “They Threw Us All in a Trench and Stuck A Monument On Top” del 2001.
L’omonimo album partorito in questo 2007 sposta ulteriormente il limite al quale ci si spinge con la sperimentazione, mai gratuita ma sempre mirata a scovare nuovi varchi nei quali incunearsi con le note. Anche se in realtà il concetto di alto livello di ‘nota’ in questo caso specifico potrebbe essere sostituito da quello primordiale e più penetrante di semplice suono. Primordiale e penetrante come i suoni partoriti.
Scivolando nei bui abissi della sensibilità dell’ascoltatore, i Liars vi campeggiano.
Questo self-titled ha la caratteristica principale di essere un lavoro alquanto eterogeneo a livello compositivo e strumentale, a differenza della discografia fino a qui prodotta, che in ogni episodio si concentrava su un particolare strumento o caratteristica da enfatizzare.
L’apertura un “Plaster Casts of Everything” è incalzante cavalcata ipnotica, subito con la successiva “Houseclouds” si è aggrediti da tastiere e synth di Beck-iana reminiscenza e la traccia “Leather Prowler” che chiude il trittico è un chiaro trait d’union con le fascinazioni ereditate da “Drum” e “Mt. Heart Attack”. L’album si dipana in questo modo, senza punti ai quali aggrapparsi saldamente, balzando dall’epico Pop Group agli altrettanto mitici Suicide. Tra i gruppi dei contemporanei forse gli unico con lo stesso approccio potrebbe ro esser identificati nei Radiohead, che in ogni caso denunciano una minore propensione ad abbandonare una certa direzione una volta individuatala.
Per questi Liars anche se le sequenze e i momenti sono talvolta confusi, c’è tristezza, gioia, musicalità , silenzio, oscurità e la minacciosa voce di Angus. E originalità a palate.
L’oscurità viene confinata dalla demarcazione, ma non isolata, anzi è proprio lì che il nostro terzetto vuole portarci tutti, in questo Zabriskie Point elettrico.
Il climax è discendente e l’ipnosi è soffocata dall’organo di “Protection” che lascia in adorazione e con l’acquolina in bocca attesa di un’altra stupenda incisione.