Animal Collective
Strawberry Jam

Esistono, e alle volte questo basta. Non li troverete nella generosa schiera dei post-wavers più o meno freaky di questo inizio millennio che della rivoluzione musicale/discografica sta prolungando i prodromi e lesinando la ciccia: Animal Collective è ormai un gruppo di reputazione inossidabile la cui cristallina capacità  di scrivere canzoni e produrre suoni sta facendone una rara avis del pop sotto tutti i punti di vista.

Mollata del tutto l’aura esegetica che poteva, se vogliamo, caratterizzare un lavoro che ha fatto la storia della musica recente come “Here Comes The Indian”, AC prosegue a spron battuto sulla propria strada: quella di un gruppo di gente bruciata che lavora addomestica rumori fastidiosi per trovare una propria strada fuori e dentro la melodia che possa permettere di giocare, canzone dopo canzone, rimanendo se stessi.

Da questo punto di vista “Peacebone” è un pezzo che apre il cuore: un jingle pestifero ed irriverente, scaltro come poche altre cose del pop odierno. Da lì in poi è -come al solito- un po’ una cosa fumosa, o una strana fila di coincidenze: tutto che sembra andare allo sbaraglio e/o a rotoli a forza di coretti stonati e loop privi di grazia e che si svela nella sua perfezione imperfetta nel giro di mezzo minuto.
Probabilmente non sono più affare del gruppo primigenio di loro ascoltatori, di chi davvero si aspettava una nuova soluzione della musica suonata da approfondire o seguire, ma “Strawberry Jam” spacca alla grande.

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