Le terre del nord e gli spazi illimitati.
I lunghi tramonti e le notti senza fine e senza inizio.
Il vento freddo che sussurra nelle orecchie.
E gli Efterklang ne fanno musica.
La band di Copenhagen nasce nel 2000, e, dopo l’esordio del 2004 con “Tripper”, è oggi giunta al suo secondo album “Parades” uscito per la Leaf Label.

I cinque amici trasferitisi nella capitale danese, hanno dato vita agli Efterklang che ha come base in città  il loro ‘bunker’ nel quale scrivono, registrano e producono ogni nuovo brano. In realtà  il numero dei componenti non è fisso, dal vivo infatti si avvalgono di nuovi musicisti, senza contare la trentina di collaborazioni con altrettanti diversi artisti, tra cui anche il regista Ghahwagi Karim, autore dei video che fanno da scenografia ai loro live.
Ben quattro anni tra i due album pubblicati, intermezzati dalla creazione della loro etichetta danese Rumraket (per la quale escono musicisti quali Grizzly Bear, Amiina e Taxi Taxi!) e da un Ep, il gruppo danese ci propone questo nuovo LP che sta a metà  tra il pop, la classica e il folk.
La lunga elaborazione del disco è dovuta alla ricerca della perfezione musicale, un lungo lavoro di cesello, aggiunta e sottrazione di strofe, note, melodie, strumenti, ovvero le diverse parti che si accostano l’una all’altra per giungere al gran finale, che è appunto l’album. E’ come una successione di eventi separati che vanno a sfilare insieme, una grande parata in movimento che passa di fronte all’ascoltatore (e da qui il titolo dell’album).

“Polygyne” è la traccia che ci introduce in questo viaggio mistico attraverso gli Efterklang: la sua melodia malinconica e tenue va piano piano crescendo fino a elevarsi tra archi, violini e ottoni. E poi i tintinnii (che fanno un po’ Amiina) si mescolano all’elettronica di “Mirador”, fino alla musica trionfale ed epica di “Horseback Tenors”, mantenendo sempre una spiccata preferenza per le parti strumentali.
“Frida Found A Friend” ci suona come pecora nera: le cupe trombe e gli organi che accompagnano gli ottoni rendono l’atmosfera buia e inquietante, una voce lontana dal tono elegiaco(eco dei Knife) cerca di affiorare, prolungando l’inquietudine anche in “Maison De Rèflexion” e “Blowing Lungs Like Bubbles”. Il folk misto a post-rock di questi brani si attenua nei cori femminili della successiva “Caravan” , fino a trasformarsi in suoni più rarefatti in “Illuminant”, nella quale si sentono i Sigur Ros. L’album si chiude tra il pop-folk di “Cutting Ice To Snow”, lasciandoci fluttuare tra le note di pianoforte e le voci del coro che ci accompagnano alla fine del viaggio.

Nel suo complesso, “Parades”, non ha delle pecche, anzi ci suona come un lavoro curatissimo ed elaborato, però, eccessivamente barocco. Ridondante in molte parti, non riesce a catturare totalmente l’attenzione dell’orecchio per le sue melodie eteree e senza fine, che risultano perfette come colonna sonora di un film nordico ma troppo rarefatte per concentrarsi solo su di esse.

Credit Foto: Kenneth Nguyen