Fine agosto 1994. Ero reduce dal mio secondo e per ora ultimo Reading Festival dove avevo visto tra gli altri gli Afghan Whigs, Therapy?, Echobelly e Red Hot Chili Peppers.
Mi ero preso qualche giorno per stare un po’ a Londra, posto dove si bazzica sempre volentieri se si ama la musica. Da Sister Ray, a Soho, ho visto che sballavano degli scatoloni pieni di CD di una band che avevo sentito nominare dal Melody Maker, gli Oasis. Mi colpiva il titolo “Definitely Maybe”, definitivamente forse: bello questo contrasto tra il certo e l’incerto! Poi la foto, con Liam sdraiato sul pavimento a doghe grezze di legno, Noel sul divano che suona la sua Epiphone DR-100, un mappamondo gonfiabile che mi sa di “il Grande Dittatore” dove Charlie Chaplin scimmiotta il regime tedesco che fu. Sullo sfondo gli altri membri della band, Paul “Guigsy” McGuigan (bassista), Paul “Bonehead” Arthurs (chitarra ritmica), Tony McCarroll (batteria). Una sorta di lettera d’intenti da parte dei fratelli Gallagher, la voglia di conquistare il pianeta con i loro modi bizzosi.
Ho chiesto al negoziante notizie del disco e del gruppo e mi ha risposto: is the best band ever dicendo band con la “A”. Pur pensando al celebre detto “non chiedere all’oste se il vino è buono” ho comprato, a scatola chiusa. Non poteva sbagliare più di tanto.
In effetti c’erano tutte le premesse per il successo. L’etichetta era la Creation di Alan McGee che aveva tra i suoi artisti i Primal Scream, Jesus And Mary Chain, My Bloody Valentine ed i Ride.
Eppure la nascita del disco è stata travagliata: il produttore inziale Dave Batchelor che Noel conosceva dai tempi in cui faceva il roadie per gli Inspiral Carpet è stato allontanato nel corso della registrazione del disco perchè non soddisfava il desiderio di Noel di avere un suono molto “live”. Affiancato da Marc Coyle (Stone Roses, Happy Mondays) Gallagher usava il trucco di registrare la base di basso, batteria e chitarra ritmica e poi sovrincidervi la sua Epiphone Sheraton, cosa che Owen Morris, il produttore finale, distrusse e rimise insieme per il missaggio finale.
Il disco mi è piaciuto praticamente all’istante, con quel suo suono grezzo, quasi demo, e quello sfondo di chitarre talvolta pesanti, passate indenni attraverso le varie vicissitudini di produzione, tenute insieme da quel singer che cantava a bocca spalancata.
Un pezzo della cool britannia di quell’epoca è ben rappresentato in quest’opera che non manca certo di quella presunzione e supponenza che il popolo colonizzatore per eccellenza ha sempre trasmesso.
Prendiamo ad esempio “Supersonic” forse una canzone best-ever per gli Oasis:
I need to be myself
I can’t be no one else
I’m feeling supersonic
Give me gin and tonic
You can have it all but how much do you want it?
Voglio essere me stesso, non potrei essere nessun altro, mi sento supersonico“…. Ho reso l’idea?
L’incipit del disco è potente, prorompente. E, appunto, con il naso verso l’alto. “Rock “‘n Roll Star”.
Poi la più “allungata” “Shakermaker”, ispirata ad un giocattolo degli anni 70, citato anche dai Jam, la band preferita di Noel G.
“Live Forever” è ancora un volta una classica canzone pop, ispirata dalla canzone dei Rolling Stones “Shine A Light”. La base è molto semplice, un batteria sincopata apre la traccia seguita dalla struttura di chitarre già descritta. Il testo mette di buon umore, è ottimista, riconciliante, ci toglie dallo stomaco la pesantezza del grunge che impazza nel periodo.
“Cigarettes And Alcohool” è un up-tempo dedicato alla working class britannica che sballa per evadere dalla monotonia quotidiana:
You could wait for a lifetime
To spend your days in the sunshine
You might as well do the white line
“Slide Away” è la perfect (brit) pop ballat: un riff di chitarra quasi sovresposto parte tirandosi dietro tutti gli altri strumenti ed è interrotto solo da un urlo sguaiato di Liam che intona in realtà una romanticissima canzone:
Now that you’re mine
We’ll find a way
Of chasing the sun
Let me be the one, that shines with you
in the morning, I don’t know what to do
Per i veri collezionisti consiglio di procurarsi i singoli che hanno gravitato attorno a questo disco perchè vi sono alcune B-sides davvero notevoli.
In tutti i suoi aspetti “Definitely Maybe” rappresenta un disco perfetto per descrivere il british pop con le sue espressioni irriverenti, anticonformiste, scanzonate. E’ come una di quelle immagini del booklet di “Quadrophoenia”: guardandola si capisce che è stata scattata in Inghilterra. Le strade un po’ sgarrupate, le case di mattoni rossi con gli infissi in legno verniciato di verde scuro.
Nel suo suonare sporco e difettoso il disco rasenta il superlativo. E la Union Jack sventola sovrana nei cieli del mondo.
Britannico.