Proprio l’altro giorno stavo ripensando alle Big Bubble, le gomme da masticare che hanno formato i fasci muscolari della mandibola di un’intera generazione tra gli anni “’80 e “’90. Ve le ricordate? Mattoncini quadrati rosa shocking, avevano quell’insopportabile e tremendamente ipnotico aroma di fragola industrializzata, erano ricolme di zucchero e pura gioia per l’Associazione Dentisti Italiani. Insomma ci pensavo mentre ascoltavo l’album in questione, frutto dell’ispirazione di Dav Hynes, ex componente di quello stralunato combo che erano i Test Icicles, il quale ha deciso di prendere il volo da solo, sdoganandosi nettamente dalle sonorità dei suoi antichi compagni di band.
L’inizio è di tutto rispetto, perfette atmosfere british pop scuola Coldplay o meglio ancora figlie di quel tondo suono malinconico del primo Badly Drown Boy, che infranse più di una cassa nei nostri cuori. Suoni levigati, curatissimi nei dettagli, atmosfere sature, arrangiamenti di gran mestiere, ritmico battere di piede, mai un momento di vuoto o fragilità : i Lightspeed Champion sanno come si scrivono canzoni, non c’è dubbio, e lo dimostrano nota dopo nota, pentagramma dopo pentagramma. Fino a metà disco Dav scarica dardi infuocati e, novello Guglielmo Tell, centra tutte le mele che gli capitano a tiro. Inchioda melodie alla perfezione, canta come Chris Martin che fa le cover dei Bloc Party, cammina sul filo teso in sicuro equilibrio tra ascolto radiofonico e ardimentosa sperimentazione che trova il suo apice nella lunga “Midnight Surprise”, dieci minuti di zucchero a velo pop e suggestione.
Sorprende e ci frega tutti quando modifica parti di Dna per incollarci tra le sinapsi ritornelli e passaggi di chitarra, pianoforte, batteria e cori che si rincorrono per l’intera giornata. La maledizione degli ottimi autori di musica leggera: fanno colare miele nelle orecchie e ne rimaniamo fregati. Un po’ come quando ci si innamora: benedizione o maledizione? Difficile resistere a “Galaxy of the Lost” o “Tell Me What It’s Worth”, perfette colonne sonore di un libro di Jonathan Coe, caramelle al mirtillo, piccole lacrime nate in segreto, sorrisi buffi appena accennati.
Il cielo e le strade di Omaha devono aver riempito i polmoni di Dav della giusta aria, ma meglio ancora è stato l’apporto di casa Saddle Creek, che ha prestato Mike Mogis dei Bright Eyes alla impeccabile ed ispirata produzione, Clark Baeckle dei Faint alle percussioni e la dolce e fatata voce di Emmy The Great già vista con i Cursive ed i Tilly And The Wall. Quando si dice che le amicizie contano.
Verso la fine però il disco s’indurisce, diventa troppo prevedibile, perde vigore e spontaneità , ed inizia a stufare leggermente. Proprio come le Big Bubble, che dopo l’esplosione saporifica iniziale, diventavano una pietra granitica, bianca e solida come mastice con l’inevitabile esito della sua morte in un sacchetto dell’immondizia. Ma inevitabile era anche scartarne un’altra per reiniziare il viaggio. Stessa cosa con i Lightspeed Champion, gruppo da seguire con cura. Per ora ci teniamo le bolle rosa e gli aromi di lillà .
Nell’attesa che arrivi primavera, questo disco è il giusto sollazzo da opporre al vento invernale.